#38 | La Newsletter del Lunedì
Di cosa sei e di cosa fai, che non sono necessariamente la stessa cosa. Di tutto quello che sei e non dici di essere. Di tutto quello che sei, oltre al tuo lavoro.
🙏🏻 First things first
Your vibe attracts your tribe, dicono.
Hai presente quando inizi a fare più quello che ti piace e meno quello che devi fare-tanto-per-fare? Che però hai sempre fatto per non porti domande?
Hai presente quando inverti l’ordine tra il dovere e il piacere e vivi di più piaceri e meno doveri? Quando alzi lo sguardo dal marciapiede in cui stai camminando a testa bassa e con il navigatore automatico e ti accorgi che al riflesso nell’acqua della pozzanghera di fronte a te su quel marciapiede, corrisponde un candido batuffolo di nuvola che corre sereno per il cielo? E magari anche che il cielo sopra la tua testa è azzurro azzurro, non grigio come ti sembrava di ricordare mentre camminavi guardandoti i piedi muoversi uno davanti all’altro sul marciapiede.
Hai presente quando inizi a crederci? Quando ci provi, ti sbilanci, ti apri, ti esponi, un po’ tentenni anche perché tutto quel provarci, sbilanciarsi, aprirsi ed esporsi mette in prima linea tutta la tua parte più intima e più tua che non sei abituato a mostrare, però ci provi lo stesso?
Ecco: può succedere che in questi momenti qui, quando ci provi e ti sbilanci un po’, incontri qualcuno che è esattamente lì dove sei tu, con i tuoi stessi pensieri, dubbi amletici e paure che teneva per sé, ignaro del fatto che potessero essere comuni ad altri, alle tue. Può succedere che durante questi incontri, quel qualcuno faccia da specchio a quel tuo concatenarsi di passi avanti e indietro, poi indietro e avanti, poi di nuovo indietro e te li restituisca in un riflesso molto più chiaro, pulito, ordinato. Magari davanti a una colazione dolcissima, a un pan brioche con burro di arachidi e marmellata, a un caffé lungo e magari anche in quel posto che avevi adocchiato dall’ottobre scorso.



Se non hai presente, fidati di me e continua a leggere questa newsletter qui, in cui c’è scritto poco, a volte niente (ma poi che cos’è una newsletter?!), ma che ti aiuta a dedicarti quei piccoli dieci minuti per distrarti, per fermarti, per fare un respiro più lungo e più lento, per allenare la tua mente a cercare le cose che ti piacciono, con o senza caffé accanto — io comunque ti consiglio con ☕️ e con 🎧.
Perché il gioco sta tutto qui. È un po’ questa la magia di questa mini community famiglia (chiamiamola piccola grande famiglia) sparsa per il mondo. Qui succede che incontri casuali e di tempo fa, ritornino e si trasformino all’improvviso in conversazioni pure e genuine, un po’ lunghe forse, ma piene di senso, di similitudini di vita, di affinità, capaci di restituirti ordinata quella matassa di pensieri fino a poco tempo prima annodati. Succede che conversazioni spontanee con anime fino a poco prima semi sconosciute, facciano da riflesso e da àncora a tutto quello che spaventa te, in uno scambio di riflessi e àncore che alla fine ti danno la voglia di vivere e di affrontare questa vita di lunedì in lunedì, anche quando manca a te. Qui ti vengono un po’ i brividi, un po’ ti emozioni, un po’ non ci credi che esistano persone a te così affini, e che vi siate trovate grazie a questo spazio qui.
In un randomico mercoledì mattina di questo marzo che negli ultimi giorni si è fatto un po’ più grigio e che assomigliava molto a un lunedì (nella sua accezione pre-Newsletter del Lunedì), tra una conversazione e l’altra, quest’anima bella mi ha ricordato che l’anagramma del mio nome è “trama”: lei pensa che non sia poi tanto casuale.
Ecco: ci sono cose semplicissime, che nascono magicamente come queste. Dipende sempre da dove guardi.
📯Jingle di inizio e ora leeeeetsgo 🙌🏻 : a te le tue 4795 parole di oggi, da leggere in 19:10 minuti solo per te, in una newsletter che era nata per raccontarti una cosa, ma che poi è finita a raccontartene un’altra, perché a volte qui succede un po’ così. Se ti piace e ti ci ritrovi, tu lascia un like così io mi so regolare per le prossime ♥️.
Come dici? Sei appena arrivato e sei confuso su come funziona tutto questo strumento qui? Intanto grazie per scegliere di leggermi e
dedicarmidedicarti questo tempo. Mi sento di dirti che se sei arrivato qui, sei nel posto giusto. Se questo è il tuo primo post e te lo hanno condiviso, iscriviti anche tu così non perdi neanche un lunedì e man mano capisci che ha senso restare qui, per tutto il tempo che serve a te.
🦧 Chi sei tu?
Sbabam! 💥 Cominciamo leggeri oggi.
Se togli il tuo lavoro chi sei tu?
La situazione non è migliorata, lo so. Però non farti prendere dal panico, è una domanda volutamente scomoda e diretta per farti ragionare sulla serie di cose che sto per dirti.
Spoiler: sei tantissime cose.
Sì, anche tu che fino a oggi ti sei definito solo con il tuo lavoro: sei tantissime cose in più, e oltre al tuo lavoro. Spoiler 2: sono anche tantissime cose belle.
Ma andiamo per ordine (nel frattempo puoi dire alla tua ansia di calmarsi, al tuo cuore di rallentare il battito perché non serve correre e al tuo respiro di tornare lungo). 🙌🏻🐢
Oggi un decaffeinato per te, grazie. ☕️
Quindi dicevamo: “chi sei tu?”
Una scomodissima domanda che mi ha creato grande disagio più di una volta e me lo crea tutt’ora sempre spesso (ah! Perché?! Credevi succedesse solo a te? Che smania di protagonismo signori! No, qui siamo in tanti). Adesso vediamo se riesco a condividere qualche riflessione che faccia bene a te, senza parlarti solo di me. Oggi difficile.
Mi ha creato grande disagio:
A. quando lavoravo tanto e bene, perché in ambienti un po’ ibridi e in continua formazione e trasformazione come le StartUp, per definizione sei più di una cosa assieme, magari passi dal gestire i social media, a negoziare i contratti con i corrieri, a impacchettare le spedizioni in magazzino, come nel mio caso; tra una spedizione e l’altra, improvvisi uno shooting lifestyle/prodotto per aggiornare la landing page del sito nuovo, poi traduci i testi che raccontano quel prodotto in inglese e in francese per aggiornare tutte le versioni in cui è stato sviluppato il sito - meno male che a qualcosa un po’ è servita quell’università e rispondi a quel cliente che ti chiede se la lana utilizzata è “mulesing free” con un messaggio in cui gli confermi che presto un altro membro del team se ne occuperà, anche se ad occupartene sarai sempre tu, da un altro PC e con un’altra firma [qui era il 2017, non conoscevo ancora i programmi di traduzione automatica o ChatGPT - ammesso che esistesse - e non conoscevo il valore del tempo, men che meno come ottimizzarlo. C’era solo tanto impegno, coinvolgimento e passione. Qui non sapevo neanche che cosa fosse una StartUp, mi ero lasciata prendere dalla curiosità delle cose nuove, delle cose un po’ tech, del fare una cosa bella con persone belle, dall’entusiasmo di quando sei giovane più giovane, non ti stanchi mai, vuoi fare qualcosa di diverso, non sai cosa, ma sai che lo vuoi fare bene]. ⛑️🎓👒🎩🧢🪅
Quindi disagio perché hai quei due, tre, quattro, a volte anche sei cappellini in testa contemporaneamente, di più colori, forme e dimensioni, un po’ ti piacciono tutti, un po’ lì hai da talmente tanto che ti ci sei abituato, un po’ stai cercando di capire quale ti stia meglio addosso, con quale ti senti più a tuo agio, un po’ provi a invertirne l’ordine, ma li tieni comunque tutti in testa e allora il modo migliore per toglierti da quel disagio è un secco: “Lavoro in una StartUp” — che se poi sei a casa della nonna, con un’amica della nonna, è comunque ancora una situazione di disagio, prima di tutto per te perché non sai bene neanche tu cosa volessi dire.
B. quando ho cambiato progetto per uno più strutturato, sviluppato, solido, sicuro per sfogare la mia curiosità, creatività, per fare di più, per emanciparmi, uscire dall’ambiente di sempre, perché un po’ mi fa faceva paura l’insicurezza economica del progetto di prima. [Qui era il 2020 e avevo cambiato per poi scoprire di essere ricaduta in una realtà simile, in una fase di sviluppo più avanzata sì, ma comunque una StartUp e pure in piena pandemia, quindi i miei tre o quattro cappellini contemporaneamente li indossavo ancora, nonostante stessi capendo quali mi stessero meglio di altri addosso]. 👒🎩🧢🪅
Però disagio, comunque e sempre, nel rispondere a quella domanda, che smarcavo con lo stesso secco: “Lavoro in una StartUp” di prima. Anche qui, il fil rouge a supporto era l’impegno, il cuore, l’entusiasmo, la passione, la voglia, la speranza, con cui la facevo. Anche reinterpretato oggi con: immolata per la causa. Quale?
Ecco però: qui ogni tanto alzavo la testa e mi fermavo a chiedermi se davvero quell’essere tutto e niente allo stesso tempo un po’ mi piacesse o fosse una giustificazione al sentirmi appagata dal non sapere davvero rispondere a quella domanda scomoda.
Non voler rispondere, che era un non saper rispondere, che era un non volerti fermare a pensare?
Nel frattempo la pandemia avanzava, quel progetto aveva fatto pivot e da e-commerce era passato all’essere un brand lifestyle, si lavorava giorno e notte, avevo annullato tutta la mia vita sociale (qui facile anche perché ricordiamoci sempre che era l’anno del Covid), ma anche gli hobby, il mio tempo oltre il lavoro, i miei sabati e domeniche. “Tanto non si può andare da nessuna parte” — mi dicevano i big. [Neanche qui ancora conoscevo il valore del tempo, men che meno come ottimizzarlo]. ⛑️🎓👒🎀
C. disagio, quando ho visto per la prima volta quel “Marketing & Communication Manager” nella mia firma, nell’header del mio profilo su LinkedIn, su Slack, nell’email di presentazione al nuovo team e agli stakeholders tedeschi. Un titolo rigorosamente in inglese e in lettere maiuscole, apparentemente molto più grande di me, che un po’ mi ha fatto rimpiangere tutti quei cappellini colorati e quel piccolo “Lavoro in una StartUp” (alla fine nascondersi a piacere e all’occorrenza sotto un cappellino diverso, per evitare di capire che strada scegliere, era quasi confortevole). Però qui “manager” ti faceva sorridere. Ti accorgevi come a Milano fossero tutti “manager” — “wannabe-manager / junior-manager / senior-manager / ex-manager / former-manager”. Mi faceva sorridere perché poi riflettendoci ero “manager” di me stessa, perché un team non ce l’avevo, il brand marketing dell’azienda era da sviluppare da zero e insomma, stringi stringi, era tutto come prima, potevo recuperare i miei tre o quattro cappellini. ⛑️🎓👒🪅
Quindi ancora disagio, comunque e sempre, perché scritto nero su bianco quel titolo in inglese e in lettere maiuscole mi spaventava, lo vedevo troppo per me che alla fine facevo le stesse cose di prima (a cambiare erano solo i budget a disposizione), vero, ma nessuno mi aveva mai chiamato manager. Disagio, perché alla fine dentro a quel “Lavoro in una StartUp”, mi sentivo molto più comoda che in un: “Sono Marketing & Communication Manager in HelloFresh” + varie ed eventuali giustificazioni in coda, perché tu non pensassi di aver davanti chissà chi, che avessi chissà quali responsabilità, stipendio e stile di vita, perché alla fine era un’azienda grande sì, ma in Italia era una StartUp sulla falsa riga delle precedenti, solo più grande [qui era il 2023 e complici la fine della mia prima storia bella, un viaggio in Islanda e una serie ripetuta di emicranie devastanti, ho mollato; neanche qui conoscevo il valore del tempo, men che meno come ottimizzarlo].
Eccoci. Siamo a luglio 2023, quando disagio 1, disagio 2, disagio 3, ho preso coraggio e me li sono tolti tutti quei cappellini, li ho lanciati via, regalati al vento. Via, basta! 🌬️Adesso ero finalmente libera di essere chi volevo io, senza quei cappellini un po’ imposti e un po’ no.
Panico (non più disagio, panico).
Ma quindi chi ero io?
Incredibile il freddo che hai alla testa quando togli il cappello. Chi va in montagna ti dice che per non avere freddo basta coprire le estremità del tuo corpo e soprattutto la testa con un cappello. Ha molto ragione chi frequenta la montagna, anche a luglio. Anche in senso metaforico e figurato.
Qui [luglio 2023] la mia risposta a quel “Chi sei tu?” era un mix di silenzi alternati a pronomi indefiniti di persona e di cosa, come nessuno, niente, poi mixati in niente per nessuno.
Qui era poco prima del mio primo solo travel [newsletter qui per approfondimento] in cui pian piano mi sono riappropriata di me stessa, di tutto quello che ero prima, oltre il mio lavoro, delle cose che mi piacciono e di tutto il tempo necessario per prendermene cura.
Tutta questa “storiella”, che è molto più critica, confusa e arzigogolata di così, la trovi tra le prime tre newsletter. Oggi, 35 newsletter dopo, un po’ sono rinsavita, ma quel disagio lì, nel risponderti se mi chiedi chi sono io, resta.
Quindi sì, l’effetto che crea quella domanda scomoda è un po’ da attacco d’ansia (il caffé questa mattina l’ho preso decaffeinato anche io ☕️), ma ho imparato a gestirla.
Quel disagio resta principalmente perché:
1. anch’io, ancora oggi, non so con precisione quale sia il mio lavoro 🤌🏻
2. NON SONO SOLO IL MIO LAVORO 🙅🏻♀️
Volutamente in lettere maiuscole, sto un po’ urlando. Perché adesso è proprio il punto due che mi frega: sono tantissime cose oltre il mio lavoro. E tu con me. Riconoscerlo è stata la mia più grande conquista del 2024 (che è ancora in fase di perfezionamento, ammetto, ma almeno ci sono arrivata).
Però adesso come faccio a dirti tutto quello che sono in una frase?
O in 150 caratteri se su Instagram, 80 su TikTok, 160 su Twitter X? Ma poi queste tre parole possono ancora stare assieme sulla stessa frase? In una headline di 220 caratteri su LinkedIn, con conseguente biografia con cui puoi arrivare fino a 2600 caratteri — però wait 🙌🏻: lì il focus è sulla tua carriera, sui passi in avanti, sui premi, sui successi, sugli scatti e gli aumenti di carriera, forse siamo fuori tema?
Quindi vedi, quel disagio lì, del definirti in un certo modo, alla fine resta.
Resta soprattutto quando conosci qualcuno di nuovo, l’amico di un’amica, il suo nuovo fidanzato, quando ti presenti a qualcuno che ti da un passaggio in macchina, che ti fa spazio accanto a te in treno, che ti aiuta a sollevare una valigia, quando rivedi chi non vedevi da tempo e con innocente curiosità ti chiede cosa fai ora. E prima? Se poi passi qualche settimana in viaggio capita ancora più spesso (ma qui la percentuale di trovare persone perse per il mondo, consapevoli di essere incapaci di rispondere a quella domanda come te, è più elevata).
Quel pensiero ti attraversa la mente spesso: quanto sarebbe più facile presentarsi solo con il tuo lavoro? Poi cancelli quel pensiero. Però poi torna: quanto sarebbe più facile presentarsi con un lavoro semplice e magari anche in italiano se sei a casa con i tuoi nonni (“sono faccio la professoressa, il medico, l’architetto, il pescivendolo”, “sono avvocato”) così non devi dare troppe spiegazioni. Viceversa, magari uno in inglese e in lettere maiuscole se sei in un co-working in centro a Milano.
E… se magari anche no?
Ok. “Se magari anche no”.
Però quel disagio resta, perché come faccio a dirti chi sono, ora che so un po’ di tutte le cose che sono oltre al mio lavoro?
🛋️ Te lo dico con un aneddoto
Tu mettiti comodo: ☕️🎧🍃
Milano, fine febbraio 2025, io che rientro a casa di un’amica e le presentazioni con quel suo amico (oggi non facciamo nomi, per privacy, perché questa
communityfamiglia, sta diventando davvero una grande famiglia 🤫).
Per semplicità di racconto chiamiamo Anna 🙋🏻♀️ la mia amica (nome palindromo e bellissimo, abbiamo tutti almeno una Anna nelle nostre vite) e chiamiamo Carlo 👨🏼💼 l’amico della mia amica di Anna (tipico nome italiano, un superclassico, abbiamo tutti almeno un Carlo nelle nostre vite — insieme a Marco e infatti ero indecisa, ma di Anna e Marco ha già scritto tanto e bene Lucio Dalla).
Quindi ti dicevo:
Milano, fine febbraio 2025, io che rientro a casa di Anna e le presentazioni con Carlo. Entro. Saluto. Mi presento con un banale: “Ciao, piacere Marta!”, faccio per uscire di scena e poi Carlo, ingessato in una camicia che gli sembra stare bene addosso, mi chiede:
👨🏼💼: Tu cosa fai?
Neanche “Come vi siete conosciute?” (o questo forse sì, ma è stato liquidato facile), o “Come stai?” (ma in effetti a lui cosa gliene frega). Un “Tu cosa fai?” subito così: “Che lavoro fai? Di cosa ti occupi?”. Nella vita intende.
Io cosa faccio nella mia vita?🧠: — beeeeeep.
Un rumore costante, sempre della stessa intensità mi invade il cervello. Un rumore bianco? Più o meno, a tratti è molto fastidioso, copre tutti gli altri suoni e ferma il tempo, mentre la mia mente va avanti e indietro tra quello che ero e che sono adesso, quello che mi piaceva e che mi piace, va avanti e torna indietro nel tempo per cercare la cosa più normale da dirgli, una cosa che lo faccia sorridere, ma che gli generi anche interesse, che non gli faccia pensare che sono pazza, che gli faccia continuare la conversazione, ma non troppo perché poi chi lo conosce? 🧠 Che lavoro fai Marta?, Che lavoro facevi? Penso all’audio di Miriam di qualche mese fa, in cui mi chiede come fare per fare il lavoro che faccio io, ma cosa faccio io? In coda mi attraversa la mente il ricordo di quel caffé preso con Alice in co-working e la decina di audio che ne sono seguiti in cui mi chiede consiglio per finire gli studi in maniera intelligente per poter fare quello che faccio io. Ancora.
🧠: Dai Marta, digli una cosa sensata.
Gli potrei dire che ho 34 anni, vivo a Milano (oggi mentre scrivo questa newsletter, quando ti arriva non lo so). Che sono appena rientrata da un viaggio di qualche settimana fuori, ma lui mi ha chiesto che cosa faccio. Gli potrei dire che sono stata tante cose e adesso sono? Adesso cosa sono? Che non mi voglio presentare con il mio lavoro, che è una brutta abitudine.
Mi sta per partire quel monologo infinito che inizia con: Che limite mentale questo di ridursi al solo titolo. Ci risiamo, ci incaselliamo in un ruolo senza lasciare spazio alla nostra vera essenza, ma che poi in effetti qual è la mia vera essenza? Forse mi conviene dirgli un ruolo? Ma la mia identità personale è molto più complessa di così (forse troppo per lui?).
Mi è già partito quel confusissimo monologo di opinioni che si prendono a cazzotti. E continua: questa cosa di presentarsi con il proprio ruolo è una cattiva abitudine che arriva dall’essere stata troppo a contatto con una città focalizzata sulla corsa veloce, la produttività e la crescita professionale, dove “essere” si confonde con "fare". Io non lo so troppo bene cosa faccio, cosa sono, chi sono. Non sempre almeno, dipende dai periodi. E sicuramente non te lo so dire con una risposta breve e concisa come quella che probabilmente ti aspetti. Quindi cosa ti rispondo? Figurati la difficoltà quando hai cento dodici hobby oltre al tuo lavoro, come fai ad elencarli tutti? Adesso ho capito che sono più di quel ruolo, che “essere” è più importante di “fare”, che man mano ho recuperato un po’ di quegli hobby prima abbandonati. Però restiamo lì, come mi presento a Carlo? Però io sono più del mio lavoro, sono anche … fa lo stesso, manteniamo questa conversazione superficiale, non c’è esigenza di renderla più autentica. 🥊🦘
🧠: Ma sbaglio, o i testi descrittivi che ci chiedevano da fare da più piccoli sembravano più semplici?
Cosa fai? Cosa sei? Chi sei?
Le 3-C della crisi esistenziale, la tripletta da corto circuito cerebrale. Quei tre punti interrogativi che spesso ti vengono posti da chi neanche poi è troppo interessato a conoscerti a fondo ed è totalmente ignaro del caos interiore che ti generano. Le alleate di quel caos.
Io sono lì che devo rispondere. Carlo sta ancora aspettando.
🧠: Ciao, sono Marta, mi piace scrivere, leggere, camminare in montagna, nuotare al mare, prendere il sole, scrivere e leggere mentre cammino in montagna e nuoto al mare, prendendo il sole quando mi fermo, ah mi piace anche bere il caffé davanti a quella montagna, al mare, al sole.
[No, questo non glielo posso dire, mi ha chiesto cosa faccio di lavoro, poi che banalità].🧠: Ciao, sono Marta, vorrei avere una mia galleria d’arte a Londra in cui esporre opere monocrome e contemporanee di designer e artisti emergenti e organizzare vernissage il giovedì sera come in un film di Woody Allen e poi rientrare nella mia casa a Notting Hill pensando che sistemeremo la galleria domani riguardando le foto del vernissage.
[Neanche questo, mi ha chiesto cosa faccio adesso].🧠: Ciao, sono Marta, ho 34 anni, vivo a Milano, ma sono di Biella, ho una sorella più piccola che vive a
BarcellonaDubai e un cane che si chiama Pepa.
[Questo perfetto Marta se avessi 12 anni e stessi svolgendo il tema in classe alle elementari!].🧠: Ciao, sono Marta, ultimamente ho imparato a perdermi spesso per recuperare un po’ di me, del mio tempo libero che ho trascurato per troppo tempo e per coltivare un po’ di ozio, hobby e passioni che non mi ricordavo di avere.
[Si va be’, Gianluca Gotto + Francesco Sole + Siddartha davanti a un caffé (per quanto vero)].Nel frattempo Carlo si siede sul divano, quella camicia sembra stretch perché in effetti pare sia comodo lì dentro. Anna si accende una Iqos [si accendono le Iqos o sono già accese?]. Io non so decifrare l’espressione che ho in faccia, probabilmente gli sto sorridendo, ma non so se per davvero.
Mi esce un insensato: Quanto tempo hai?, che lo fa
sorridereridere. Poi sento la voce di Anna che arriva in aiuto:🙋🏻♀️: Lo sai che lui si è appena licenziato?
Fiuuuuuh! Sospiro di sollievo. Adesso possiamo parlare. Si è instaurata quella comfort zone in cui la camicia di Carlo superclassica, stirata e pulita, abbinata al pantalone dell’abito, altrettanto superclassico, stirato e pulito, non mi mette più in soggezione e anzi, crea vicinanza. Vorrei abbracciarlo, ma
non possonon sono capace.[🧠: Ciao, sono Marta e non so abbracciare].
Eccolo qui: l’ennesimo caso di persona che non fitta in quello che senza chiederselo più di tanto stava facendo da mesi (anni, vite?!). Quel suo mega lavoro da consulente, con conseguente vita sociale progressivamente annullata a colpi di “non ci sono perché devo
finire una presentazione per la riunione di lunedìfinire un deck importante per la call di lunedì alle 10:00” e una galoppante ipocondria. Perché funziona così. A Milano poi funziona un po’ sempre così. Tu corri, tu corri [come cantavano i Gemelli Diversi], ma non guardi necessariamente dove stai andando. Un po’ un cliché?
Un po’ un cliché presentarsi con il tuo ruolo?
Sicuramente è più facile avere quella risposta pronta e incasellarsi in una celletta 🐝. Che poi sia anche quella giusta, non me la sento di dirtelo io. Anzi, vedendo Carlo e vedendo me, è più probabile che sia anche quella più stretta, piccola e appiccicosa, dove a un certo punto va via la luce e con il buio sembra ancora più stretta, più piccola, più appiccicosa: non respiri più, non ti piace più, non ti piaci più.
Un po’ cliché e un po’ esigenza presentarsi con il tuo ruolo?
Metti che per caso, purtroppo o per fortuna smetti di lavorare e allora qui cosa dici?
🥲: Ciao sono Carlotta e lavoravo in Valentino » ora sono in maternità.
🥲: Ciao sono Giulia e lavoravo in Banca Sella » ora sono in pensione.
🥲: Ciao sono Sandro e lavoravo in Zegna Baruffa » ora sono in pensione.
🥲: Ciao sono Diana e ho studiato economia » ora mi sono persa.
Quindi avevamo almeno due mamme, un’esploratrice di sentieri di montagna che sa anche panificare, un papà e un pittore per passione nascosti dietro i loro lavori. E avevamo almeno una studentessa che ora si è laureata per trasformarsi nella scritta verde “Open to work” nell’angolo in basso della sua foto su LinkedIn (che auto-interpreta con “anima in pena alla ricerca di uno stage sottopagato se pagato che mi dia un ruolo un titolo una casellina in cui inserirmi così riesco finalmente a completare quell’header su LinkedIn presentarmi con poche parole al prossimo amico sentirmi qualcuno sentirmi al posto giusto”). Qui volutamente senza punteggiatura. Adesso puoi fare un respiro.
Siamo donne, mamme, sorelle, amiche, colleghe, vicine di casa // uomini, padri, fratelli, colleghi, vicini di casa — abbiamo sogni, passioni, emozioni, sogni che ci appassionano e ci fanno emozionare, però poi ci chiedono “Chi siamo?” per intendere “Che lavoro facciamo” e fine: incasellati lì, in quella celletta stretta, piccola e appiccicosa, che sì ci piace, ci piaceva, fino a prima di diventare solo quello.
Ma poi tu lo sai che si cambia ogni 7 anni?
Cambiamo i gusti, gli umori, i fidanzati. I capelli ti si arricciano se li hai lisci, si lisciano se li hai ricci, si scuriscono, ti vengono le lentiggini improvvisamente, e sempre improvvisamente ti da fastidio bere il latte che hai bevuto negli ultimi trent’anni di vita, quel cantante lì non suona più per le tue vibes. E ti piacciono i broccoli.
In questi sette anni puoi cambiare anche lavoro se vuoi.
Però sembra che senza il tuo lavoro, non sei più.
Non sei più tu.
Non esisti.
Ma perché?
Si cambia ogni 7 anni. E nel frattempo?
Viviamo tra aspettative e desideri, tra quello che ci dicono di essere e quello che sentiamo di voler diventare, ma chi ci dice chi siamo?
Parlare dell’essere che è diverso dal fare, di chi siamo senza lavoro non è nuovo, è probabile che in queste 38 settimane assieme sia già uscito, vero. Eppure ritorna adesso in tutta la sua croccantezza, perché va di pari passo con tutte quelle volte in cui mi rimetto in gioco, che faccio un colloquio, che mi devo raccontare a chi non conosco. Quindi ecco, non è che se lo scopri poi, fine, basta, trovata la soluzione. È tutto un continuo diventare, cambiare lavoro e continuare a essere.
Ma quindi se togli il tuo lavoro cosa sei?
👨🏼💼: Sì, ho mollato.
La conversazione finisce con un mio “Grande!”, un mega sorriso (questa volta per davvero) e lo scuotermi di dosso quell’ansia da prestazione.
Ricevo una chiamata, esco di scena e li lascio continuare la serata in salotto, felice di non avergli detto niente di tutto quello che sono io e molto più consapevole rispetto a quel luglio 2023, di essere tanto: soprattutto tutti i miei non detti.
“I tuoi non detti ascoltali bene, perché dicono esattamente chi minchia sei tu.”
Sei tutto, mentre sei.
Sei anche quello che non dici e chi sei va oltre il titolo che porti. 🚀
E adesso esco e vado a fare una corsetta al sole, perché nell’ultimo anno e mezzo (a intermittenza e con qualche spinta) ho capito che non è vero che mi piace stare ore davanti a un PC, ore seduta, ore in un ufficio, fare tardi in quell’ufficio, avere tutto sotto controllo e ho capito che sono anche un po’ questo: una corsa al sole, nel bosco dietro davanti a casa.
Mentre scrivo è domenica mattina (“facile andare a correre oggi” dirai tu) ma la puoi fare anche di lunedì: anzi, devi solo sbottonarti quella camicia effetto stretch, cambiarti le scarpe e salutare il tuo collega dicendogli che torni tra 30 minuti.
E se lo fai, oggi hai vinto tu!
🦦 Chi sono io?
Io sono questa newsletter.
Sono questa newsletter grazie a te che me lo ricordi quando non me lo ricordo io, che mi salvi da quei silenzi imbarazzanti innescati da quelle domande scomode, che sei qui e mi leggi ogni lunedì (e poi magari mi rileggi di martedì, giovedì o domenica — io ti vedo e fai bene, sia perché sono post lunghissimi, sia perché lo devi fare quando serve a te). Sono questa newsletter grazie a te che mi rimproveri quando non la menziono nella mia presentazione, credendoci a tratti più di me (l’ultima volta venerdì scorso), che sei qui e dai un senso a tutto questo.
Ma fammi un po’ capire, tornando a quella domanda scomoda lì:
Se hai risposto con 1: ok, tutto ok?
Se hai risposto con 2: fammi indovinare, sei un podcaster?
Se hai risposto con 3: ok però se poi lui ti dice “sì” siamo da capo.
🦧 Chi sei tu?
Ora te lo richiedo in caso avessi avuto la risposta pronta appena approcciato il primo paragrafo (quello in alto, in alto) e nel caso la tua risposta coincidesse con il tuo ruolo in ufficio. Perché secondo me sei tante cose.
Sì, anche tu che in questo momento dalla scrivania a chissà quale piano, di chissà quale ufficio, di chissà quale città, davanti a chissà quale schermo, stai leggendo questa newsletter (grande che lo fai anche da lì), conscio di saper benissimo cosa sei perché c’è scritto a chiare lettere nella tua firma in calce, nell’header del tuo profilo su LinkedIn e sul biglietto da visita che hai in tasca.
Sì, tu.
Anche tu che un po’ ti senti perso perché hai finito l’università e sai che adesso inizia il gioco, ma non trovi la porta di ingresso per il nuovo mondo.
Sì, tu.
Devi solo recuperare tutte quelle tue tante cose.
Come si fa?
Fermandoti » Newsletter #2 🤸🏻♀️
Ripartendo dalle cose che ami » Newsletter #36 🫶🏻
L’ultima volta che l’ho fatto io è nata questa newsletter, che ahimé, ogni tanto mi dimentico ancora di menzionare quando mi presento, ma ci sto prendendo confidenza (e poi questa è la parte bella perché qui entri in gioco tu).
Mi fa sorridere ripensare alle prime volte in cui sentivo quella frase, all’imbarazzo nel percepire il suono di quelle parole nell’aria, senza che le dicessi io: “Lei ha una newsletter”. Cosa vuol dire che ho una newsletter? Ma poi cos’è una newsletter. In parte, pareva un po’ una presa in giro. Sai quando dici, “sì ok ma quindi? Perché? Perché l’hai detto?”. Sono molto belle le prime volte, in un modo o nell’altro te le ricordi sempre. Te le porti con te.
Però sto imparando a metterlo al primo posto:
🏄🏻♂️ quando sono arrivata a Melbourne, nel fare i controlli infiniti in dogana in ingresso, a quella domanda ho risposto che sono una scrittrice e alla fine il poliziotto ai controlli si è scaricato Substack. Lui di me sa solo che scrivo newsletter. ✔️
👳🏻♂️ quando a Dubai ho dimenticato la borsa nella sala delle colazioni in hotel (per la seconda volta), il cameriere che me l’ha riconsegnata mi ha chiesto se fossi una scrittrice: gli ho detto di sì, un secco sì. ✔️
🤳🏻Ah! E ho aggiornato quei 150 caratteri di biografia su Instagram. ✔️
Alla fine non ho trovato la risposta da dare a Carlo quel giorno lì a Milano da Anna, ma ho trovato la risposta da dare a chi mi chiede cosa faccio, insieme all’aver capito che siamo tutto quello che non diciamo di essere.
👩🏻💻 Visto che il mio cane non mi ha risposto, l’ho chiesto a un PC
Ho fatto un gioco, perché al ventesimo giro intorno alla tavola, in cerca di risposte a quella domanda scomoda, mi stava venendo la nausea. Così ho chiesto l’aiuto del pubblico dell’intelligenza artificiale che a tratti penso ne sappia più lei (o lui?) di me.
Mi ha restituito questo testo molto curioso, che un po’ mi fa ridere, un po’ mi piace, poi mi fa di nuovo ridere, che dice:
“Marta è una professionista freelance con sette anni di esperienza nel settore specializzato in Brand Identity, Social Media & Communication Strategy, PR & Influencer Marketing. Ha maturato la sua esperienza all’interno di aziende di diverso settore, dalla moda sostenibile con Artknit Studios e La Semaine Paris, al food con HelloFresh e al design con TA-DAAN, lavorando direttamente su strategie di comunicazione e posizionamento del brand, gestendo la crescita della presenza digitale e sviluppando piani editoriali efficaci. Il fil rouge delle sue esperienze è stato seguire progetti 100% digitali fin dalla fase di lancio e nei momenti immediatamente successivi, permettendole di analizzare il mercato in modo approfondito e di contribuire alla definizione strategica delle aziende fin dalle prime fasi di sviluppo”.
È curioso, mi fa ridere e un po’ mi piace, soprattutto perché la descrizione terminava così:
Non so dove abbia preso le info sulla corsa in montagna, probabilmente ha fatto un mix con informazioni di un’omonima — però mi fa ridere perché in effetti oggi la mia corsa è stata in montagna.
Mi fa anche riflettere perché sono quello e moltissime altre più cose di così. Sono tutte le cose non scritte a paroloni grandi e in inglese lì, tutte le cose che non dico. Sono questa newsletter. E sono tutte le cose che mi piacciono.
E tu?
Ps: comunque Carlo è anche simpatico.
Senti questa che è cute 🎧
📌 Post Scriptum
È piccolo, piccolo e chiude alle 5pm. È in Porta Venezia e ci sono andata una sola volta. Ha un orsacchiotto che corre come simbolo e serve caffé dal 2016. Mi è stato simpatico dal primo momento che l’ho intravisto da un post su Instagram.



Si chiama Orsonero Coffee 🐻, ti disegna pannocchie di latte al posto del cuore e quando è aperta la sua tenda a righe alla porta di ingresso sa di casa, posto bello e fine estate.
In questo tiepido lunedì di marzo, mi immagino seduta su quella panchetta di legno al sole, a bere un caffè, parlando con te.
Ma oggi è sabato o è lunedì? Scegli tu.
E buona primavera (in anticipo) 🌷
xx, Marta
Che bella, il sole picchia un po’ più forte con questa newsletter!
Mi gasavo nel rispondere che : lavoravo in banca 😌. Povera me invece
Adesso duci con orgoglio che sono mamma di due splendide ragazze e faccio il pane