#9 | La newsletter del lunedì
Del rumore del silenzio, del fattore "n" e del raggiungimento di qualche milestone che avevo perso di vista.
[First things first: siamo 128 e come ogni lunedì, inizio con un bel grazie perché niente di tutto questo è scontato! 🙏🏼🤍🫠]
Ecco a te le tue 4230 parole di oggi, da leggere in 16:55 minuti (volutamente senza musica, perché parla di silenzio).
🥹 Ma post Design Week cosa si fa?
Milano va veloce, Milano corre, Milano fa rumore. E con lei le sue persone, quelle ondate di turisti che si mescolano alle ondate di pendolari che scendono da treni in corsa all’alba, per poi saltare su altri treni altrettanto in corsa quando si fa sera, zigzagando tra macchine nuove di zecca ferme ai semafori e milanesi veloci sulle due ruote e in abito appena stirato.
Milano va veloce, Milano corre, Milano fa rumore e durante la Design Week ancora di più. È tutto in fermento, ma è anche tutto tanto bello. La città si colora, è ricca di energia positiva e apre ufficialmente la stagione degli aperitivi all’aperto, con giornate primaverili ancora più lunghe, ancora più luminose, pollini che volano e le prime corse in bicicletta.
O almeno, così è come appare a me questa città nel mese di aprile quando arriva questo mega evento dell’anno. E quest’anno un po’ di più. Così è come è apparsa a me ogni volta che mi sono fermata un attimo nella mia corsa (identica a quella di quei pendolari zigzaganti tra auto scure e personaggi in abiti profumati) per riflettere, e magari focalizzarmi su qualche glimmer - se non ti ricordi di cosa si tratta, o arrivi adesso per la prima volta puoi rileggerlo nella Newsletter #6. Succede come quando scatti un foto, un fermo immagine lento, mentre tutto attorno a te si muove. Nell’immobilità di quell’istante penso alla velocità con cui si muove tutto, con cui scorre il tempo, con cui in un attimo siamo a metà aprile, a come sono stanca, cotta e sfinita, ma piena di entusiasmo per il nuovo progetto che sto seguendo, così piccolo, ma così ambizioso (tanto da voler partecipare a tutti i costi e con un super successone, alla Design Week). E mi si riempie il cuore.
Penso anche a cosa sarà Milano e la mia routine incasinata dopo questa Design Week, che l’ha incasinata ancora di più (e questo non per dire che non ho cose da fare, anzi), ma arriva lei e accelera talmente tutto tanto che la normalità, per quanto ancora di corsa, ho paura che poi mi annoi.
Però step back ⏮️
🔮 Ma tu a inizio anno hai fatto la tua vision board?
«La mia che?»
La tua vision board, quel foglio, quella slide, quella mega parete in cui inserisci le foto di tutto quello che vorresti che accada nel tuo nuovo anno: può essere un foglio di carta in cui fare la lista dei successi che vuoi raggiungere, è l’escamotage che serve per fermarti e pensare intensamente a quello che vuoi per te, per mettere a fuoco i tuoi desideri e ciò che ti permetterebbe di essere felice.
Ma tu hai desideri? Intendo desideri veri, tangibili e concreti che insegui giorno per giorno e li vedi più vicini (o più lontani magari, ma solo per far aumentare il tuo entusiasmo e farti correre ancora più veloce). Te lo chiedo perché io mi sono resa conto spesso di stare bene con ciò che avevo, ma magari non abbastanza felice, motivo per il quale di giorno in giorno alzandomi speravo (o proiettavo con la mente) di essere felice. Usavo questo aggettivo, ma poi nel concreto non capivo neanche io cosa indendessi, la felicità è un concetto talmente astratto, talmente cangiante con gli umori, il passare del tempo, il cambio di tante condizioni, cosa significa essere felice per me? Non lo sapevo, non lo so e proprio perché non avevo nulla di così concreto, ho capito che non avrei mai potuto raggiungerlo. Ecco perché nasce una vision board: lì metti nero su bianco cose che concretamente vuoi realizzare, e che sommate magari fanno la tua felicità (chi può dirlo?), ma si parte da cose concrete. Inter nos: a me è servita una pausa di qualche mese, con vista su tramonti mozzafiato a Bali (#NL3 per rewind) per capire che pensare di voler essere felice senza sapere di cosa avessi bisogno non mi avrebbe dato molte soddisfazioni.
Focalizzati su quelle cose (magari anche solo una) che ti fanno stare bene e cerca di pensare che sei già lì, che stanno già succedendo. Credici, vedi che accadono. 😉
Nella mia vision board di inizio anno c’era di partecipare a una maratona. Avevo scelto la foto di una tipa super figa e lunga, contenta di essere arrivata al traguardo. Ok, una maratona intera io da sola no, dai, ma 10KM sì, iscrivendomi e gareggiando seriamente in una staffetta a squadre (che tra l’altro era anche l’obiettivo delle corse al gelo, invernali, del martedì sera con il gruppo di Nike Running).
A gennaio pensavo davvero che il 7 aprile avrei fatto la mia prima maratona. E infatti così è stato. Me la immaginavo solo un po’ diversa: perché è stata con le scarpe da ginnastica, sì; e di corsa, sì; e con il fiatone, la sete, la stanchezza fisica e mentale. Però era una corsa metaforica per riuscire ad organizzare come si deve la Design Week.
La Design Week è iniziata ufficialmente lunedì (vedi che tante cose belle iniziano di lunedì) e ammetto che non riesco troppo bene a dare senso allo scorrere del tempo, perché per un verso mi sembra di essere in ballo da una vita, a rincorrere fornitori, idee, preventivi, per poi farli modificare in tempo, controllare che vadano bene, che sia uscito il comunicato stampa il giorno giusto e appendere mensole dritte, e per l’altro mi sembra sia appena cominciato tutto (sì, di base anche la settimana appena trascorsa si è svolta sulla falsa riga di quella precedente, come ti raccontavo qui e i miei dubbi sul comprendere lo scorrere del tempo sono ancora attuali, anzi si sono intensificati).
Dicevo, la Design Week è iniziata ufficialmente lunedì scorso e nelle ultime settimane Milano è incasinatissima, caotica, ma anche bellissima: c’è una nuova luce, le giornate sono più lunghe, si sentono parlare più lingue e l’aria sembra più leggera mentre corrono tutti più veloce di prima (possibile?).
Bene, come ogni corsa che si rispetti (non parlo nello specifico di maratona perché appunto non ne ho mai fatte di vere - anche se per adesso lascio la foto della tipa figa e lunga che arriva al traguardo sorridente nella mia vision board), ma come ogni corsa che si rispetti, quando arrivi alla fine ti senti in pace con il modo: stanca, ma forte, felice, serena e carica di adrenalina.
Ecco: io oggi mi sento un po’ così. Ed è una sensazione che aspettavo da tanto. Che mi fa stare bene, che mi fa pensare di essere, anche solo momentaneamente, al posto giusto, o sulla strada giusta per trovare quel posto giusto, ecco.
Marta, spero sia andato tutto bene. Stasera ti ho vista tirata, ma motivata.
Lo ha notato anche mia mamma mercoledì scorso, passando a vedere il frutto di tutte quelle corse e riporto un pezzo di quel suo messaggio di fine giornata perché lei sa come stavo quando ero altrettanto tirata, ma anche priva di motivazione e voglia di vivere, sa quando sto bene e quando no, sa quando sono felice e quando no.
E questa settimana, raccogliendo i frutti delle corse fatte per realizzare il tutto, mi sono resa conto che avevo appena raggiunto un po’ di quei traguardi, milestones, soddisfazioni personali, obiettivi (chiamali come preferisci), che non mi ero accorta di avere invece perso di vista da qualche tempo.
Mi sono resa conto che nella mia vision board della vita c’era anche una Design Week 🔮
E non lo sapevo. O meglio, la vision board della vita non l’ho mai fatta, mi metterebbe un po’ di ansia in effetti, meglio andare a piccoli passi. Ma ho sempre un po’ desiderato di lavorare nel dietro le quinte di questo mega evento, forse lo pensavo già a fine liceo tentando di entrare al corso di interior design al Politecnico, poi però avevo un po’ accantonato il tutto fino quasi a dimenticarmene. E invece adesso è successo.
Così è com’è iniziata lunedì scorso 🙊:
È successo, e si è portato con se anche un bell’articolo su Living Corriere:
E quindi nonostante le corse, gli orari a caso e gli affanni, la soddisfazione non ha paragoni. Eppure sono sempre io, la stessa me di 6 mesi fa, di 12 mesi fa, di quel tempo fa in cui avevo messo in dubbio qualsiasi mia capacità mentale o fisica.
Quindi intanto segnati queste sante parole:
È un po’ come quando cerchi di avvitare una vite, ma stai girando dall’altra parte. La vite è giusta per quel foro, e il foro è della misura giusta per quella vite, devi solo capire il movimento giusto.
Questo tienitelo nel retro cervello. Nel mentre passiamo alla prossima riflessione.
🍃 Ma se ti presentassi il fattore “n”?
Che Milano in questa Design Week era bella (bellissima), lo hai capito. E avrai anche capito (o immaginato) che probabilmente faceva anche tanto rumore (tantissimo).
Paradossalmente me ne sono accorta solo quando smetteva, e tutto si faceva silenzioso. Perché in effetti non sono abituata. Non in questi giorni almeno.
Mi è capitato di farmi distrarre dal silenzio mentre aspettavo che il fiorista al chiosco finalizzasse il mazzo di fiori da portare in pop up sabato mattina. E mi è capitato il giorno dopo, pedalando (contro mano) per una via San Maurilio vuota, dove sentivo solo il suono delle ruote sul pavé, in uno strano silenzio interrotto solo da qualche cinguettio di uccellini.
Non mi sembrava Milano, ammetto. Ho fatto un video per testimoniare il silenzio di quell’inizio di weekend pre Design Week, che da lì a poche ore minuti avrebbe visto riversarsi in strada flotte di giornalisti e designers indaffarati a partecipare alle nuove conferenze stampe e aperture di posti belli.
Il silenzio mi piace tantissimo ed è una cosa di me stessa che sto imparando solo ultimamente.
Nel silenzio sento tantissime cose di me, degli altri e del mondo. Nel silenzio adesso sto bene. Dico “adesso”, perché solo qualche mese fa invece mi faceva paura. Lo evitavo pensando mi potesse opprimere, che mi potesse parlare, sì, ma che mi dicesse cose brutte, che mi facesse pensare a cose alle quali non volevo dedicare neanche un secondo.
Il mio stare bene in silenzio adesso mi fa capire che sto bene in generale.
Il silenzio mi fa compagnia, mi fa bene, mi fa sentire bene.
Solo pochi giorni fa un’amica (nonché anima bellissima trovata proprio grazie alle Newsletter del Lunedì) mi ha condiviso questo reel (ascoltalo e facci un pensiero):
Lui va be, è il mago delle parole. Ma se ci pensi quanta ragione ha?
A me ha fatto ricordare una conversazione che avevo fatto con un mio amico tempo fa: durante una delle tante conversazioni da tavola (a casa sua, tra piatti cucinati bene e calici di vino corposi) quando parlando del più e del meno, tra libri letti, da leggere e comprare o podcast nuovi da ascoltare, lui aveva esordito dicendo che in macchina spesso non ascoltava nulla. Stava in silenzio e quel tempo gli serviva per riflettere in pace, per dare tregua all’udito e alla mente. Ha due bambini e ci sta che si prenda la strada casa-ufficio <> ufficio-casa, per stare da solo con se stesso. Ma all’epoca non ne aveva ancora e ricordo che questa abitudine mi aveva stranito. Io al contrario non vedevo l’ora di salire in macchina per ascoltare la musica e ho sempre acceso qualsiasi cosa, anche se noiosa, pur di avere una compagnia a coprire l’assordanza del silenzio (la parola assordanza l’ho inventata io sì, ma immagino tu abbia capito). Ora mi trova d’accordo con lui.
E capisco anche Marta, una ragazza conosciuta proprio in questi giorni di Design Week con TA-DAAN in uno dei tanti momenti di show-crafting ospitati in pop up. Marta viene da un paesino delle Marche molto silenzioso. Arrivare a Milano in piena Design Week le ha fatto andare a fuoco le orecchie. “Non sono abituata a questo rumore”, mi ha detto e come non biasimarla. Un rumore che fa rima con gente, caos, strade bloccate, una moltitudine infinita di eventi ogni giorno e a ogni ora, inviti, newsletter, persone dappertutto, disordine, file lunghissime per prendere un caffè, un gelato, non ti dico installazioni perché non ne ho viste, ma le loro code sì, vento, clacson, grida. Di tutto tanto.
E sai cos’ho notato?
Che mentre in ufficio pensavo agli ultimi contenuti da chiudere lato comunicazione, mentre si allestiva, mentre si correva per l’apertura, mentre di gestivano i flussi di curiosi, io cercavo il silenzio e un po’ di pace per orecchie, mente e cuore. Mi piace Milano in fermento, ma mi piace di più viverla al mattino presto mentre ancora si sveglia.
E nel cercare il mio silenzio, si facevano strada prepotenti tra i ricordi le immagini di quella stessa settimana di aprile del 2023: sempre io, ma con 365 giorni in meno e tanta confusione in testa in più, ancora ignara di quell’incontro-scontro con quella cascata (e con me stessa) che mi avrebbe portato dove sono ora (se non lo sai, leggilo qui). Tornavano i riflessi del ghiaccio, l’infinito di terre incontaminate, sprazzi di cielo infuocato di verde. Erano immagini limpide e vive lì, davanti a me, nitide, chiare e forti come quando le avevo viste. Poi un clacson in strada mi faceva tornare sulla terra. E così in loop: città davanti agli occhi e natura nel cuore, in un binomio di sono-qui-ma-non-sono-davvero-qui che normalmente mi ha sempre creato ansia, e che invece in quel momento mi dava forza.
Quella natura incontaminata e quel silenzio inondavano mente e corpo di calma, ed erano il miraggio a cui tendere, l’obiettivo del continuare ad andare avanti senza sosta, perché sarebbe andata bene e perché presto avrei rivisto tutto quel verde (spoilerone di quella cosa bella che ti ho anticipato nella Newsletter #7 e che per ora ancora mi fa piacere tenere per me 🤫). Tutta quella natura alternava il blu del cielo, del mare e del ghiaccio dell’Islanda, al verde fluo e sparatissimo delle risaie di Bali, anch’esse immerse nel rumore del silenzio.
Ed è qui che capisco quanto sia stata fortunata a nascere in un paese piccolo e semi dimenticato dal mondo, che dall’adolescenza fino a poco tempo fa evitavo bellamente di menzionare. Biella ha un suo perché per chi ci è nato e ne sa apprezzare gli affetti, le sue oasi verdi un po’ nascoste, il suo essere vicina a tutto ma in effetti scomodissima da raggiungere se non hai un tuo mezzo proprio.
Eppure ammetto che mi ha dato il giusto imprinting. Da piccola passavo il tempo salendo su un albero del giardino di casa, andavo con mia sorella a casa di amici poco lontano per fare capanne nel bosco, giocavo a nascondermi tra le siepi e passavo il pomeriggio con mia nonna a fare lunghe passeggiate nel bosco. La prima gita dell’elementari l’abbiamo fatta all’Oasi Zegna nel “Bosco parlante”, di cui ancora oggi ho qualche fotografia fatta solo di ditate sul flash; le successive le abbiamo fatte in un’altra collina dietro casa a raccogliere foglie da colorare per l’autunno, e poi in Burcina (altra collina ancora) in primavera per imparare a disegnare la valle di rododentri fiorita in stile “piccoli pittori crescono”. Eppure adesso mi rendo conto che forse quella è stata la mia fortuna (e non perché Oasi Zegna era una delle installazioni più belle da visitare durante questa Design Week, anche se forse qui ci sarei andata davvero ne avessi avuto il tempo).
Amo Milano. Ma mi rendo conto sempre più spesso che tornare nel verde e nel silenzio è un bisogno fisico che mi chiedono corpo, mente e cuore. Mi serviva il crollo emozionale in Islanda per capirlo?
Il verde lo cerco anche qui, perché infatti magari non è immediato, ma c’è, semplicemente si nasconde un po’, lo devi cercare, così come cerchi i glimmers. Ma quando lo trovi ti rendi conto che è quel tocco di energia in più che rende Milano fresca e più simpatica.
Quella n quindi è la n di natura: ciò che ti serve per stare bene.
Io in questi giorni veloci ce l’avevo di fronte come un miraggio, la mia mente era piena di immagini che alternavano Bali, l’Islanda, le ultime passeggiate dietro casa, in silenzio a fine inverno, e il mare infinito che riempie gli occhi e la mente d’estate.
In questi giorni veloci mi sono ritrovata spesso a pensare a come queste strane coincidenze avvengano davvero tutte assieme: l’Islanda che torna prepotente il 18 aprile dell’anno dopo, Bali che torna mentre si logora il braccialetto rosso, bianco e nero dell’equilibrio che mi teneva compagnia (e in equilibrio) dal 18 agosto scorso, questa natura incontaminata che riemerge prepotente tra i ricordi dello scorso anno e mi spinge a cercare il rumore del silenzio.
Tante volte a ricordarmi di quanto sia importante fare il pieno di fattore n, e di quanto sia bello immergersi di natura è questo personaggio qui: lui praticamente vive a 3000 metri quasi tutto l’anno e respira solo aria di montagna. È tra le mie principali fonti di ispirazione ammetto e un po’ vorrei vedere quello che vede lui (chi ha detto poi che non mi succeda prima o poi).
Ma a parte che io questa mia passione per l’isolamento te l’avevo già detta.
🍓 Strawberry fields forever
Non è (solo) una canzone. Che io voglia un giorno essere scrittrice e chiudermi in una casetta circondata dal verde per dare libero sfogo alla mia creatività, te l’ho un po’ già accennato sempre nella Newsletter #7.
A questo proposito aggiungo che ho di recente scoperto che in Finlandia cercano ragazzi che raccolgano fragole e ci ho fatto un pensiero - me lo tengo come piano di fuga per la prossima pausa, a pari merito con il prendersi cura delle tartarughe a Nusa Penida - questo te l’avevo raccontato?
E sai perché? Perché è un po’ nel silenzio e nella quotidianità che rallenta che riesco ad avere lo spazio mentale per pensare, per scrivere, per inventarmi mondi paralleli che mi tengono compagnia, per farmi venire le idee. E tutto questo silenzio, tutta questa lentezza, tutto questo verde, in altre parole fare il pieno di fattore n è quello che mi serve di tanto in tanto per resettare e ricominciare.
Ci stanno i periodi con il piede sull’acceleratore, quelli in cui ti ritrovi a fare più cose di quelle che pensi, e più ne fai, più ne continui a fare, più ne vuoi fare; quelli in cui entri in un loop infinito di giornate che durano 14 ore senza che te ne renda conto (se non fosse per le 102 notifiche sul telefono abbandonato e le labbra screpolatissime come quando tira vento su una vetta alpina).
Ci stanno, sono normali e capitano a tutti più o meno abitualmente. È su questo “più o meno” che mi vorrei focalizzare: lascia che siano una esclusività, un’unicità di qualche periodo, tienili sotto controllo. Essere consapevoli di quando si da di più, di quando si va più veloce, di quando si deve essere molto di più di quello che ci si sente, è importante per non farli diventare una normalità e, di conseguenza per non crollare. È importante per te e per chi vive e lavora con te.
Io mi conosco e cerco molto spesso di dare il massimo più del massimo, anche quando magari non è richiesto. Probabile che questo entri in una delle tante cose che dovrei approfondire su me stessa, perché così su due piedi penso sia legato a un voler dimostrare a me stessa che valgo (a volerlo dimostrare a me stessa più che agli altri, perché pare che gli altri lo sappiano già), al mio essere così severa e bacchettona con la povera me. La cosa nuova, imparata e accettata in questi ultimi mesi, è che per quanto mi sforzi, non sono una macchina e non sempre riesco a dare quel “più del massimo” che vorrei dare. E sai cosa? Alla nuova Marta va bene così, e mi permetto di dartelo come consiglio. Va bene se non riesci a fare tutto, se hai bisogno di rallentare, se senti di doverti fermare. Fallo.
Ne abbiamo già parlato spesso, l’ultima volta era nella Newsletter #8, ed è vero che nella nostra “società della performance” che ci tiene costantemente sotto pressione, accettare di non essere sempre al top è complicato, anche perché molto spesso ci vengono raccontati solo i successi e nascosti i fallimenti. Sappiamo bene che il massimo che possiamo fare non è sempre quello che potremmo fare, eppure non accettiamo di aver bisogno di rallentare, di mollare la presa o di fallire del tutto senza avvertire un senso di colpa, di inadeguatezza, o senza sentirsi incapaci o sbagliati.
Ecco, quando questo maledetto senso di colpa mi assale mi ripeto che essere meno severa con me stessa mi aiuta a compiere il primo passo verso una vita più serena.
Non credi?
E adesso vai, immergiti di fattore n e torna carico di energia positiva, pulita e leggera.
✋🏻 Prima di andare via
Quali sono stati i tuoi glimmer di queste ultime settimane? Giusto per capire se stai ancora facendo i compiti.
Se vuoi inizio io (te l’ho sempre detto che queste Newsletter del Lunedì servono a te tanto quanto a me): io li ho trovati nelle colazioni fatte presto presto nel bar di fronte a casa, mentre Milano era ancora un po’ addormentata, nel vedere il crearsi di un mazzo di fiori coloratissimo, nel pedalare troppo presto al mattino o troppo tardi la sera, in una città sempre vuota, negli abbracci degli amici che sono passati in pop up la sera dell’evento che ha bloccato 5Vie in centro a Milano, nel ritrovare persone care che erano uscite inconcepibilmente dalla mia vita per un po’, nel condividere momenti di entusiasmo e positività con un team super carico sempre, nei vostri “come stai?” di un lunedì senza newsletter, nel trovare il frigo pieno di cose buone post passaggio della mamma a Milano, nelle chiamate di chi vede che i suoi messaggi restano non letti per troppe ore, nelle cene improvvisate ma sempre comode, calde e belle che finiscono con il fantasticare su voli presi last-minute (you know who you are e a quel concerto ci andiamo!), nell’incontro inaspettato con persone che sembrano fatte per restare (almeno per un po’, o per il tempo necessario che serve loro per fare quello che devono fare), in un abbinamento di outfit colorato che mi ha copiato Victoria Beckham (ehm.. questo non è andato proprio così, ma quasi e mi piace crederci, più che glimmer forse è una botta di autostima).
Forse sono glimmer, forse cose di cui essere grati, forse semplicemente dettagli belli delle ultime settimane, forse il senso della vita. E voglio farci caso.
Comunque non so te, ma io il consiglio del caffè-latte con un po’ di cioccolata avanzata che ti consigliavo nell’ultima Newsletter (qui qui qui) l’ho preso alla lettera e credo di essermene fatta 2/3 bicchieri in queste sere pazze e di corsa prima di andare a dormire. Troppo buono!
📌 Post Scriptum
Oggi ti scrivo da Serra di Quartiere, che ho qui da consigliarti da mesi, ma non avevo ancora trovato il post giusto per raccontartelo. Ci voleva questa Newsletter che parla di pause silenziose post rumore.
È in Porta Venezia, in via Melzo, e si mangia divinamente. Ci sono stata a pranzo un giovedì di luglio scorso, nonché anche il primo giorno di vita senza lavoro con la mia compagna di licenziamento, ex-collega, ex-capa e amica Alice, poi con mia mamma in una delle sue visite a Milano; e ci sono stata a colazione tante volte da sola e spesso con Nick, che è anche colui che me l’ha fatto scoprire (e che essendo un habitué ho incrociato spesso anche per casualità).
Serra mi piace perché è tutto molto essenziale: l’arredo, il menù, i piatti, la presentazione. Non c’è niente di troppo e ogni volta ne rimango soddisfatta.
Mi piace anche perché è molto tranquillo e silenzioso, ha pochi tavolini e quei pochi mi è sempre capitato di trovarli occupati da gente educata e riservata, molto silenziosa.
Lo avevo inserito anche nella mia guida di “Appuntamenti delle 10am”, tramite le vecchie guide di Instagram, ma Mark ha deciso di rimuovere quel tool (a mio parere, scelta sbagliatissima) e ho perso tutta la selezione. Meno male esiste Substack 🙏🏻.
Se consoci qualcuno a cui pensi possa piacere questo posto (questo post o tutta la Newsletter del Lunedì) condividigliela cliccando qui 👇🏻:
Da sapere prima di andare da Serra ☕️: il locale è fondamentalmente un corridoio, quindi piccolo, stretto e lungo e la produzione è interamente propria. Nell’ultimo periodo via Melzo si è popolata di nuovi localini alla moda (io tra l’Osteria alla Concorrenza, Røst e Pasta Fresca Brambilla in quel quartiere non so mai dove scegliere di andare), e va da se che non è detto che tu riesca a trovare un posto per pranzo, ma un tentativo lo puoi fare per colazione (ovvio, preparati anche in questo caso a sfoggiare quella tua parte zen già mostrata nel cercare di sederti da Pan Milano). 🧘🏻♀️
E niente, buon lunedì anima bella: as always, lascia che sappia (tanto) di sabato ✨
Ci vediamo settimana prossima con una puntata che ti parlerà di bugie e dell’importanza di sapersele raccontare per stare bene. Sì, hai capito bene.
Marta
Sempre più interessante Marta
Orgogliosa di te 😘