#7 | La Newsletter del Lunedì
Di riflessioni random aeroportuali e di passioni da ritrovare, coltivare e tramandare.
[First things first: anche oggi inizio dicendoti “grazie”. Sembra ripetitivo, lo so. Eppure non voglio dare per scontato neanche uno di voi 118 anime belle, a neanche uno dei vostri like e del vostro essere qui con me oggi. È davvero un bel momento di benessere 🙏🏻🌸✨ e poi sono già tante, troppe, le cose che diamo per scontate].
Prima di lasciarti al tuo momento benessere da 3201 parole da leggere in 12:50 minuti di questo primo lunedì di primavera, ti segnalo l’articolo di iODonna sulla “filosofia delle pause”, che racconta di come fermarsi sia un po’ come fiorire e di come sia necessario compiere tanti piccoli gesti di "ribellione" per sfuggire a una quotidianità che, altrimenti, ci spoglia di noi stessi. Tutte cose che sai già, che ti ho detto con le mie parole soprattutto negli ultimi due post, ma che mi fa piacere tu rilegga giusto per farti ulteriormente capire che questa cosa del mondo che va veloce, e ultra digitale e che ci chiede di essere multitasking, può essere tenuta sotto-controllo per stare bene, e non lo dico solo io.
🌸 Buon primo lunedì di primavera
Comincialo così, cercando uno scorcio di cielo azzurro fuori dalla tua finestra, lasciando che la casa profumi di caffè appena fatto e di una canzone che sa di fresco, mentre ti prepari. Io ti consiglio le sue vibes, per una felicità sempre autentica, attuale e leggera.
La scorsa è stata una settimana intensa, sia fisicamente (perché mi ha sorpreso un febbrone da cavallo che mi ha stesa, letteralmente stesa a letto con impossibilità di alzarmi fino a sabato mattina), sia mentalmente/psicologicamente per altri avvenimenti personali, uno nello specifico, che proprio non mi aspettavo e mi ha sorpresa come una cascata in fronte (cit.). Per adesso questa cosa bella mi piace tenermela privata, tempo al tempo, sicuramente verrà il momento in cui te ne parlerò.
Parlando del primo motivo per cui la mia settimana è stata intensa, penso che forse il mio corpo abbia davvero imparato a non seguire più la mia mente sempre e comunque, ma riesca invece ad andare in allerta prima che sia troppo tardi, e a farlo anche in maniera brusca (come con la comparsa improvvisa di quaranta gradi di febbre), perché altrimenti io non sentirei nulla e tirerei dritta. Forse la vita davvero ti propone e ripropone gli stessi pattern, finché non impari tu a gestirli in maniera diversa, a cambiare, a reagire, a volerti meglio!
Quindi un po’ per questo motivo non credevo sarei riuscita a scrivere nulla per questo post, anche perché non potevo guardare per più di qualche minuto lo schermo del PC, ma alla fine come già sai, questo è un po’ il mio modo di ricaricarmi. Anche la mia maestra di yoga preferita, mi ha scritto per invitarmi a trascorrere un weekend di pace e a fare le mie cose lasciando libera la mente. E ha ragione. Eppure, mi rendo conto che se non sfogo in qualche modo e da qualche parte i miei pensieri, impazzisco.
[Inter nos, arrivata qui oggi, mi sembra di avere già scritto cinquanta pagine e ho già controllato il numero delle parole e il tempo di lettura, scoprendo di essere neanche a 400 parole e a meno di 3 minuti. Mi sento un po’ Emma Morley, all’episodio 7 di OneDay, che dopo il titolo, l’autore e due righe di testo controlla il numero di parole scritte: 34. Effettivamente, la febbre così alta ti lascia KO e ogni cosa mi sembra una montagna, spostare il mio corpo da una sedia a un divano, anche.
Shh, shh 🤫 so a cosa stai pensando: di OneDay ce n’è solo uno, ed è quello del 2011 con Anne Hathaway e Jim Sturgess (anzi, forse ancora di più, esiste solo il libro), agree! Però nello sclero della malattia ho ceduto e onestamente per quanto fossi scettica, mi ha piacevolmente sorpresa. Forse avevo aspettative molto basse, sono sempre quelle che rovinano tutto.
Posso dirti? Mi sono sempre impersonificata bene con i ruoli di scrittori e aspiranti tali, da Hannah Horvath in GIRLS, Emma Morley qui, Jamie (Colin Firth scrittore nel suo cottage francese) in Love Actually, inutile dirvi Carrie Bradshaw, Iris in The Holiday (sì, scrittori e giornalisti, entrambi bastava che scrivessero e fossero a tratti malinconici e dipendenti dalla caffeina), aggiungiamo pure alla lista anche Beatrix Potter che scrive dalla sua postazione vista giardino in fiore, o J.K.Rowling che ha scritto le prime pagine di Harry Potter da The Elephant House di Edinburgh.
Ho questa cosa con i giardini, la scrittura e le colazioni lente. Quindi l’ideale di vita è fare una colazione lentissima, da una casetta in mezzo al verde della campagna inglese (se vista mare, meglio), mentre scrivo. Un po’ come oggi, di domenica, a casa. Ecco se c’è almeno una cosa che ho capito e so di volere nella mia vita da grande è una casa con il giardino e una buca delle lettere, dove caricarmi quotidianamente di natura, il mio “fattore n”.
Oggi, in via del tutto eccezionale, prendo in prestito questo acquerello da Emma Block, perché secondo me lei la colazione lenta in giardino, mentre scrive (o disegna) vista campagna verde inglese, la sta facendo anche oggi.
🌸 A te capita di rivivere i tuoi pensieri?
La riflessione di oggi arriva dal mio recente rientro da Barcellona, dopo una settimana inaugurata con una corsa di 8km al sole, lungo mare, comprensiva di primo bagno dell’anno (nonostante l’acqua fredda). Causa febbre, non sono riuscita fisicamente a rientrare a Milano con il volo previsto, ma ho trovato posto su sabato sera, tra orde di scolaresche che rientravano dalle gite (ma solo io andavo in gita in pulmann dappertutto, anche fuori Italia, Barcellona compresa?).
La riflessione di oggi è sul senso di nostalgia degli aeroporti, quei luoghi che Marc Augè (pace all’anima sua) definisce nonluoghi, e che io non ho mai capito del tutto. L’avevo studiato nel corso di sociologia in università, e da lì, ogni volta che ne visito uno mi ritorna in mente quell’antropologo francese studiato in università e quella sua definizione che diceva di come nei nonluoghi non si creino relazioni. Forse non l’ho mai capito bene io (e infatti con questa scusa mi rimetterò ad approfondirlo a dovere.
🔎 Il neologismo nonluogo definisce due concetti complementari ma assolutamente distinti: da una parte quegli spazi costruiti per un fine ben specifico (solitamente di trasporto, transito, commercio, tempo libero e svago) e dall'altra il rapporto che viene a crearsi fra gli individui e quegli stessi spazi. Marc Augé definisce i nonluoghi in contrapposizione ai luoghi antropologici, quindi tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici.
Fanno parte dei nonluoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi, eccetera. Spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso ad un cambiamento (reale o simbolico). I nonluoghi sono prodotti della società della surmodernità, incapace di integrare in sé i luoghi storici confinandoli e banalizzandoli in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di "curiosità" o di "oggetti interessanti".
I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente e sono altamente rappresentativi della nostra epoca, che è caratterizzata dalla precarietà assoluta (non solo nel campo lavorativo), dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio.
Io negli aeroporti vivo le emozioni più intense. Mi piace anche solo vedere la gente in attesa dei propri famigliari, amici, amori, per vedere come si salutano dopo un viaggio, se si commuovono, se si fanno sorprese e poi vederli andare via contentoni. Magari sono stati lontani un week-end, magari due, magari un anno, magari due.
Ricordo di aver fatto uno dei pianti più pesanti all’aeroporto di Roma, partendo per il mio primo mese da sola in Irlanda a diciotto anni. E di averlo fatto ancora più intenso il mese dopo, al rientro, questa volta perché non volevo separarmi da nuovi amici. Ho pianto salutando la mia Persona Vitamina (lei :)) che partiva per la California, nell’estate dei suoi diciassette anni. Si tratta sempre di quei pianti che implodono appena giri l’angolo, sono silenziosi, nascosti, fatti al limite da qualche lacrima che ti riga le guance prima ancora che tu te ne renda conto. Nulla di troppo scenico anzi, si cerca sempre di distrarre lo sguardo e cambiare discorso velocemente per farli passare inosservati (io ho imparato a piangere davvero, e a non vergognarmene, solo recentemente), eppure in quei momenti lì dentro lo sai.
Analogo è stato il pianto, salutati tutti, di nuovo a Malpensa, questa volta in direzione Valencia per il mio primo anno in Spagna nel 2011. O rientrando da Manchester a luglio del 2014. È successo altrettante volte, oramai incalcolabili, lasciando mia sorella (sempre quella Persona Vitamina) di ritorno (o andata, ormai si confondono un po’) verso casa-Barcellona.
Ho pianto all’aeroporto a Keflavík nel momento di lasciare l’Islanda lo scorso aprile (sì, hai ragione, ti avevo detto qui di non aver versato neanche una lacrima: diciamo che un po’ iniziava a crearsi una crepa nel ghiacciaio, mettiamola così). Che tra l’altro epic fail perché quel volo ce l’avrebbero poi annullato. Quindi giorno dopo, stesso show.
Ma poi ce la ricordiamo tutti la prima scena di Love Actually all’aeroporto di Heathrow no?! O l’ultima, per dire. Ecco io così, immaginandomi anche la stessa musica, ogni volta che varco le porte di un aeroporto e sto viaggiando da sola.
Ho pianto rientrando dopo sei mesi di Barcellona nel 2019, insicurissima sul motivo del mio rientro. Ho pianto innumerevoli volte volando da Barcellona a Malaga nell’autunno del 2020, agli albori della mia prima relazione bella, ma anche a distanza.
E idem con le stazioni, con i treni, o con i viaggi in macchina post vacanze o post estate.
Ho perso il cuore all’aeroporto di Atene a ottobre 2022 e ti assicuro che da quel momento specifico, l’odore dell’aeroporto, delle valigie e gli abbracci mi facevano pietrificare, al solo pensiero mi veniva la nausea. Quella volta è stata dura, dura (qui per quanto mi abbiano sempre detto tutti che è bene parlare, sfogarsi e fare uscire cose, te la risparmio - almeno per adesso. Posso dire che è stata una delle prove maggiori che mi ha posto questa vita, non senza conseguenze). Credo di essere stata in grado di riprendere un volo in serenità quella volta lì per l’Islanda 🇮🇸 (forse anche perché era un viaggio di gruppo). Anche se poi a partire non ero io e le valigie non erano mie. Lì davvero mi chiedevo Marc Augè cosa pensasse (e sono sempre più sicura di non averlo studiato bene).
Forse sono un po’ io un’inguaribile romantica, o solo molto incline al pianto pre decollo. Quando incrocio qualcuno con le lacrime salire sul mio stesso volo, mi perdo a immaginarmi la sua storia: quel viaggio della vita che sta per fare, o che ha appena finito, e come quel pianto lo farà sorridere tra qualche mese al ricordo (se se ne ricorderà). Perché poi alla fine è un po’ così, ci ridi su a distanza di tempo, ti chiedi perché quella partenza ti sembrava così critica, e anzi, forse piangi, sì, ma per il motivo opposto a quando sei partito: il tuo non voler più tornare.
Questo era il mio caso durante il rientro da Londra nell’ottobre 2010. O, per rinfrescare ricordi non preistorici, dell’agosto dello scorso anno pronta per Bali 🌺. E qui era un vero mix tra “oh mio dio, ce la sto facendo da sola” e “oh mio dio, sono da sola”. Idem sul ritorno di settembre.
Ripeto, sarà forse perché i miei voli li prendo spesso da sola e ho tempo infinito per farmi avvolgere da ricordi più o meno preistorici, o altri più o meno recenti. Quando sono in volo però, e a maggior ragione se ho il posto finestrino, lascio proprio che siano le nuvole che incrocio a cullare i miei pensieri e a fare riaffiorare i ricordi che la mia mente vuole rivivere in quel momento (sì, diciamo che a causa di questa intensa attività mentale, io vivo sempre tutto almeno 2/3 volte). Prima di salire in aereo mi dimentico spesso di scaricare film, musica o podcast e alla fine mi perdo dentro la mia mente, guardando quelle nuvole.
Però ecco: sono una di quelle persone a cui questi momenti servono, che ama viaggiare anche da sola per immergersi nella sua densità di pensieri, fermarsi a riviverli a capire cosa le succede e come reagisce il suo corpo ora, rivivendo quei pensieri. O meglio, ho reimparato ad apprezzare il viaggiare da sola. Quasi non vedo l’ora che ci si innalzi per non avere più nessun contatto con il mondo, nessuna notifica, nessuna rete, nessuna distrazione e il cento per cento del tempo per stare con me stessa. Mi piace identificare chi quel viaggio se lo sta facendo per piacere, chi da solo, chi sta partendo con entusiasmo e aspettativa, e chi invece rientra con il cuore in mano. Chi sta partendo per sempre.
Lì in cielo sei veramente tu, quegli attimi di staticità ovattata in cui il mondo va avanti, ma non tu, sono preziosi; in cui ti stai muovendo a 1250 km/h eppure ti sembra di essere fermo, sono magici.
Tante volte lavoro, ok. Ma tolte quelle, quei momenti lì di costrizione a essere tutta per me, me li vivo.
🌸 Com’è andata la ricerca dei tuoi glimmers?
Torniamo sul pianeta terra. Ma tu li avevi fatti i compiti? Quelli di settimana scorsa, sì. Il 21.03 era il Giorno della Felicità, neanche a farlo apposta. Forse conviene che il prossimo anno dedichiamo tutta la settimana alla felicità, che dici? Un tour alla ricerca di glimmers. Ti ho pensato e spero che tu abbia trovato (e che tu stia ancora trovando, giorno per giorno) i tuoi micro momenti di benessere.
E ti dico di più: dato che è una cosa che ha fatto bene anche a me, ti do un altro mini compito per questa settimana (no tranquillo, non è piangere all’aeroporto o scoprire la vita dietro le lacrime del tuo vicino di volo). È una cosa più bella, che ti serve, e man mano voglio sapere come procede: recupera la tua passione, quella per quell’hobby assurdo per cui non eri neanche portato, va benissimo quella. Recuperala e dedicaci il tuo tempo. È datata? Non hai più la mano per la scrittura? Era la pittura? La fotografia? Cucinare? Disegnare fiori? Riprendila in mano e lascia che ti faccia stare bene, che ti dia energie, che ti aiuti a cambiare il chip, a resettare dai pensieri meccanici del lavoro, o tristi della vita (meccanici della vita o tristi del lavoro, qui vedi tu).
Viviti il senso di libertà e di mente libera che ti regala 🍃
Recentemente ho conosciuto Barbara, lavoriamo assieme anche se lei vive a Roma, quindi ci vediamo poco. Lavora tanto e lo so perché tante di quelle cose gliele chiedo io, tante altre gliele chiedono le mie colleghe e so che segue anche altri progetti extra. Eppure ogni giorno riesce a ritagliarsi del tempo per disegnare sul suo sketchbook (questo video ti ipnotizza), lavorare la ceramica, cucirsi alcuni accessori, andare sui pattini (sì, è una grande!). Ha davvero tanti hobby rispetto alla gente che conosco e alla quantità di lavoro che svolge, e spesso nel raccontarmeli mi ricorda di come sia importante coltivarli, per lei stessa, per il suo benessere e per la sua salute mentale; per riuscire a recuperare energie, per trovare ispirazione, per vivere meglio. La ammiro.
Personalmente riconosco l’importanza di avere interessi belli e attività extra lavorative per il benessere di mente, anima e corpo, e sono qui a ricordarlo a te ogni lunedì, ma ammetto di avere anche io una strana tendenza a farmi assorbire dalla vita veloce, dal dover essere multitasking, dal doversi mostrare sempre sul pezzo su tutto, dal finire le cose oltre l’orario o portarsi il lavoro a casa. Insomma, un po’ tutte quelle mie cattive abitudini che mi hanno portato a quel “mollo tutto” di luglio scorso. Ho questa malformazione, ecco perché ad inizio post dicevo che è stato il mio corpo a interrompere il benessere apposta e forzatamente. Scrivo, questo sì. Disegno. E sono cose che ho ripreso in mano da poco, ma mi piacerebbe riuscire a farlo ogni giorno, avere un’attività creativa diversa al giorno, perché so che mi farebbe bene.
La mia amica Yun ha tanti hobby, ed è una persona che ammiro molto. A parte fare apnea (che qui già le possiamo dare un nobel), dipinge, studia sempre qualcosa di nuovo anche se ha finito l’università, fa yoga e meditazione.
I miei genitori anche, sono molto diversi tra loro, ma sanno tenersi impegnati con tanti momenti in mezzo alla natura, in piscina, nell’orto o in cucina a panificare (lei 🙋🏻♀️) e con tanti libri, partite di scacchi, lezioni di giapponese, dipinti giornalieri, sudoku e momenti nell’orto (lui 🙋🏻♂️). Ecco, forse si incontrano nell’orto.
E qui arrivano i compiti 📚
Insomma, questa ultima parte è anche la più importante (e infatti forse doveva andare all’inizio) vuole essere la spinta a coltivare creatività, libertà e fantasia con le tue passioni. A non fare l’errore che ho commesso io, prima di tutta la pappardella che ti racconto qui, quando ho annullato tutto quello che non fosse lavoro, per poi ritrovarmi costretta a recuperare forzatamente la parte bella di vita, per salvarmi. E qui mi sono dedicata solo ad hobby e attività ludiche (ho fatto qualche mese tra lezioni di tennis, corsi di ceramica, colazioni instagrammabili, yoga, allenamenti per una maratona che ora che si sta approcciando non riuscirei più a svolgere, disegnare, scrivere filastrocche per bambini ed è stato un momento di grande scoperta anche di me stessa).
Il tuo compito per la settimana è di trovare quella cosa che ti permette di essere te stesso, di tornare anche un po’ bambino se devi, che dia sfogo alle tue emozioni, quella cosa che riesci a fare anche senza pensare, che ti viene spontanea e naturale fino a diventare per te una passione profonda e contagiosa.
Trovala, riprendila in mano e ricomincia a coltivarla per davvero.
📌 Post Scriptum
In questo primo lunedì di primavera ti porto in una delle ultimissime novità Made in Barcelona, e sono pronta a scommettere che, anche se hai appena risposto “dolce” al sondaggio, ti ricrederai: Taulat44 è un posto dove è davvero difficile scegliere (sì, anche il tipo di caffè).
Sul bancone a vista ci sono mini torte, biscotti e dolci di ogni tipo, si sfornano brioche come se non ci fosse un domani e tutto ricorda gli ambienti minimal, puliti, bianco-grigio del Nord Europa (non dico più “di Copenhagen” perché effettivamente non ci sono mai stata, che ne so di com’è lì 😅). No a tovaglie, tovagliette e tovaglioli, sì a tavoli sgombri, posate in brocche di acciaio, sgabellini di alluminio e all’auto apparecchiarsi. Ma la parte salata è ancora più buona, invitante, cool: il menù è fatto di tanti piattini anche della cucina italiana, e per la colazione la sfida è tra la focacce mortadella, bufala e pistacchio e il pane tostato con verdure verdi, menta e uovo in camicia, da vero brunch insomma, cosa che a Barcellona, tolta forse la Soho House (così come a Milano), io non ho mai apprezzato particolarmente (lasciamoglielo fare agli inglesi, che lo sanno fare meglio IMO). Poi i camerieri sono sorridenti e gentilissimi, altro aspetto da non sottovalutare.
Siamo in 4, ognuno prende cose diverse e tutti assaggiano tutto (sempre la scelta migliore in caso di posti nuovi). Quindi io oggi vado di Ice Vanilla Latte + cookie de frambuesa, e poi assaggio la focaccia da Ale :)
Tra l’altro, dettaglio molto carino: con ogni caffè ti regalano un biscotto della fortuna e proprio al nostro tavolo ne abbiamo aperto uno che diceva “Qual’è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta?”. Ecco, si vede che anche loro leggono questa Newsletter :) E soprattutto, se lo stai leggendo tu, è forse il tuo segno per pensare finalmente alla risposta da dare a quella domanda che ti frulla in testa dal 12.02 quando hai letto il Post #1.
Nel frattempo, salvati il Taulat44 e vacci prima che venga preso d’assalto!
E fine. Contentissima che tu mi abbia letto fino a qui anche oggi.
E che il tuo primo lunedì di primavera sappia di sabato ✨
Ci vediamo settimana prossima.
A lunedì, Marta