#39 | La Newsletter del Lunedì
Di quando smetti di pensare e lasci che le cose prendano forma per davvero.
🙏🏻 First things first
Non sono mai troppi: i grazie, i prego, gli abbracci, i baci (mi sa che “I baci non sono mai troppi” è un libro che ho letto, che mi era piaciuto e che forse adesso mi rileggo), i grazie di nuovo, i “Come stai?” sinceri, i caffé presi al sole, i cuori che lasci a chi ti piace, i pensieri che scrivi, i sorrisi (anche quelli che scambi con chi non conosci — cani e scoiattoli* compresi). Gli scoiattoli in centro a Milano. Non sono mai troppi. Neanche oggi, neanche qui.
*scoiattoli e i fenicottero solo se sei in centro a Milano, perché è un po’ incredibile, ma è così - è il bello bellissimo di questa città.
Io sempre molto grata di scoprire come, nel suo piccolo, una di queste newsletter vi abbia parlato. Grata di come a modo suo, più o meno delicatamente e più o meno direttamente, si sia connessa con la vostra mente incastrata in qualche nodo di overthinking e alla fine l’abbia sciolto. Mi capita di scoprirlo a distanza di lunedì, quando quell’incastro magari è già un ricordo e si è già sciolto tutto anche per voi.
E comunque ancora oggi, a distanza di un anno e passa, io spesso ancora non ci credo. Lo stupore è quello della prima volta, quindi io un po’ sempre così: 🥹. O saranno gli ormoni a primavera?
Ancora più grata delle storie che mi raccontate in quei nostri momenti dal vivo che in un modo o nell’altro ci regala sempre lei, questa Newsletter del Lunedì [ma mi aiutate a trovarle un nickname? O un acronimo se no?]; quei nostri momenti dal vivo che si stanno facendo sempre più frequenti: un invito a cena, a colazione, un aperitivo di confessioni lente a sorsi di vino buono su come quel lunedì sia arrivata la newsletter giusta e non un altra e di come sia arrivata nel lunedì giusto e non in un altro. E di come sia anche un po’ cambiata la tua vita adesso. Proprio davvero bello quando mi raccontate le vostre storie.
Potrei prendere in prestito quella quote che dice: “che bello quando invece di guardarmi le storie, me le racconti”, ma non so più dove l’ho letta — se qualcuno la sa, mi dica.
Insomma Devastante. Per dirlo con una canzone. E Brividi per dirlo con un’altra.
Ogni tanto davvero mi viene qualche brivido devastante — che non è una canzone ma lo potrebbe essere. (Ma “devastante” è un aggettivo con accezione positiva o negativa? Per me positiva).
E niente, questi grazie iniziali che sanno di zuccherini sono sempre un po’ un momento di riconnessione con tutto quello che questo piccolo spazio di etere fa per me con te e di tutte le emozioni forti che mi regala questa Newsletter ogni volta che esce o non esce (perché anche quando fa la pigra e non esce, le sue gratificazioni poi alla fine se le prende - l’avete abituata molto bene, si sta facendo anche un po’ vanitosetta). 💁🏻♀️
Anzi, se ti piace e ti ci ritrovi, tu lasciale un like qui in fondo così lei è contenta ♥️.
Non sono mai troppe le volte in cui penso a come davvero, senza saperlo, questa signorina mi abbia cambiato la vita. Il giorno in cui non ci sarà più questo paragrafo, potrai smettere di leggermi, sei autorizzato (prima no, io lo dico per te).
Ora basta zuccherini (forse questi a un certo punto potrebbero essere troppi se li sottrai dalla metafora). 🍬
Here you go! Ecco le tue 4285 parole di oggi, da leggere in 17:10 minuti e adesso che è sbocciato tutto così, il caffè ce lo prendiamo a casa, in giardino, al sole. Uno dei posti più belli del mondo.



🦩 Di effetti collaterali
Non gli ho ancora trovato una spiegazione, ma ci sono proprio giorni fatti per scrivere, perfetti, pieni di idee e creatività e altri che invece no, proprio non si lasciano scrivere, in cui mi mancano le parole, i pensieri sono ingarbugliati e vogliono rimanere ingarbugliati e non riesco a produrre niente di sensato, neanche sforzandomi.
Ecco perché ogni tanto la newsletter del lunedì non esce - e qui mi riscuso (tantissimo) con voi che vi siete iscritti proprio in queste settimane qui; non era previsto, però ecco, a volte proprio non riesco. Grazie che siete stati pazienti e non vi siete disiscritti. 🙏🏻
Questi sono i giorni in cui sono io a leggere voi e i vostri Substack e a lasciarvi i miei cuori che sorridono.
Quindi? Com’è stata questa settimana Come sono state queste due settimane senza Newsletter del Lunedì?
Le mie strane, parto io tanto lo so che tu sei timido.
Strane, lente, grigie, in una stranezza che è un po’ così: lenta e grigia. Quella di quando fuori splende il sole e il cielo è blu così, però tu non hai voglia e ti senti quella stranezza dentro qui. Io personalmente non so dirti il perché, ho provato anche ad ascoltarmi e fare un recap di cose che mi sono/non mi sono successe e non c’è niente che non va. Anzi, c’è tutto che va.
Eppure sono state strane. Sai quando hai tutto, soprattutto tantissima libertà, ma forse troppo di tutto, soprattutto tantissima libertà? Hai tutto, è esplosa la primavera, fa caldo e inizi a prendere il sole e i caffé in giardino, ma ti senti un po’ così: strano, lento e grigio.
“Manca qualche scintilla” — qui l’ha detta bene Federico quando gli ho chiesto come stava lui.
Hai tutto, ti svegli presto, con il sole e gli uccellini che cantano, ma ti senti strano, lento e grigio. Hai tutto, ma ogni tanto ti prende un po’ di quella malinconia lì strana, lenta. Ingiustificata forse. Quella che esci a fare una corsa sperando che endorfine e serotonina facciano il loro, quella che apri un libro, ma lo richiudi, che inizi a guardare il film che ti eri salvata da quella conversazione, ma poi lo spegni, che apri Substack, ma non scrivi, quella che se fossimo a Barcellona spiegheresti con, “estoy de bajón”, quella che aspetti che passi perché non la sopporti. (🔮 Spoiler: passa, passa, non temere, come viene, va — almeno questo sì).
Insomma, amici: long story short, due settimane senza newsletter e mega (ma mega) malinconiche per qualcosa che non so neanche io. 🤷🏻♀️
Ok. Un po’ lo so: è che mi pesa — mi pesa un botto — vivere lontano dalle mie persone vitamina e sempre di più. (Quick reminder sulle Persone Vitamina 🍊 qui « ). Mi pesano le distanze, i voli, i fusi orari, le chiamate che perdi perché qui è troppo tardi, ma che poi se richiami restano perse perché lì è troppo presto, il dover pianificare tutto con un calendario, dover contare i weekend.
Ma l’improvvisazione dov’è? Quei “ci prendiamo un caffé assieme” (sottointeso, “adesso, subito, davanti a casa, al sole”).
Mi pesa tutta questa assenza di improvvisazione, di cose che ti vengono in mente e non le puoi fare, perché per farle dovresti prendere un volo, attraversare un fuso e aspettare il prossimo weekend. Perché banalmente non posso essere a Milano, Biella, Dubai, Melbourne, lungo le strade d’Islanda, a un ritiro di yoga a Tokyo e poi in spiaggia con te a Ko Tao contemporaneamente, ma banalmente neanche una volta al mese. E ancora più banalmente (è davvero così banale?), non posso vivere cinque vite contemporaneamente. Ora come ora, mi piace — mi piace un sacco — la mia vita e tutta la sua libertà, forse anche troppo. Però ne vorrei vivere anche altre tre contemporaneamente e sempre con 34 anni, probabilmente sempre bassina così e fatta così — quando arrivi agli “enta” impari a piacerti tanto (🔮 questo era uno spoiler per i piccoli under trenta del gruppo).
Quindi Elon, confido in te perché tu inventi il teletrasporto (almeno questo).
A parte tutto, dividere il cuore in così tante parti sparse per il mondo, per quanto connesse, in queste due settimane mi è pesato. Non capita sempre, a volte mi arricchisce, ma in queste due settimane volevo essere in ognuno di quei luoghi e con ognuno di quei miei cuori. E non posso. Odio questi vincoli.
Però non può essere quello dai, ormai sono anni, dovrei essere abituata (o forse non ci si abitua mai veramente?).
Ma poi è un caso o io incontro e connetto sempre con persone che poi si spostano? Elena dice che forse attiro chi mi piace e mi piacciono le persone che scappano con i miei stessi interessi: persone con mille milioni di voglie, curiosità e entusiasmo di vita. Forse sì. O forse il mio essere stata concepita in camper (!!!), una novità di marzo, dice tanto ed è la risposta a tante cose mie che non ho mai saputo spiegarmi.
Quindi? Quindi te lo dico io cos’é: non è uscita la Newsletter del Lunedì e il mio mood ne ha risentito. E il tuo? Quindi ecco, quando ti senti un po’ così, un po’ strano, lento e grigio chiediti se è uscita questa signorina o se l’hai letta (a volte è davvero solo questo). Lei è anche molto poco modesta. 💁🏻♀️
Ovviamente anche meno di così, sappiamo che sono metafore, ma se mi racconti davvero come stai, mi piace. Ti leggo volentieri.
🐿️ Di rese dei conti
Quindi marzo se n’è andato e noi non lo abbiamo neanche salutato bene. Eravamo in quel mood strano, lento e grigio (almeno io) e abbiamo saltato i saluti — che maleducata!
Se n’è andato di lunedì, in perfetta sintonia con la sua pazzia, portandosi via un’ora di nostra domenica e lasciandoci però con tantissima luce in più dal mattino alla sera, pena qualche giorno di rincoglionimento da cambio dell’ora in cui continui a calcolare che ora sarebbe se non l’avessero cambiata.
Se n’è andato un po’ di fretta, senza troppo salutare (che maleducato lui!), come chi sa che in realtà se ci pensasse due volte, forse non se ne andrebbe, che avrebbe altre cose da dirti e probabilmente da quell’abbraccio per salutarti non si staccherebbe più; solo che salutarsi così è più pesante e allora si gira e se ne va senza salutare. Resti tu ad immaginarti come sarebbe stato se fosse rimasto, come saresti stato tu e poi magari sorridi anche un po’ perché in effetti concordi: marzo è stato bello pazzo, pieno di sbalzi di umore e pieno di vostri compleanni da festeggiare (soprattutto il 27 marzo che adesso è anche un po’ overcrowded 👥👥).
Questo però bello. A me piacciono un sacco i compleanni — se poi sono i vostri, ancora di più. E compleanni a parte, marzo è scappato via portandosi dietro tante altre cosine, che forse osservate adesso che è già un po’ aprile, sembrano ancora più belle e fanno suonare il “March Madness Dump” una riflessione sana e a mente fresca, con la distanza giusta per guardarsi indietro.
Quindi: che marzo sia stato più o meno pazzo, manteniamo le giuste abitudini: vai con il tuo photo dump del mese (pubblicalo!), ferma solo i tuoi ricordi preferiti, fai caso alle tue persone (nuove, vecchie, alle riscoperte). Cosa ti porti a casa? (diresti probabilmente al tuo team. Perché alla fine marzo se n’è andato, noi non lo abbiamo neanche salutato, lui non ha salutato noi, ma quel momento del mese lì in cui serve un attimo rallentare (puoi anche proprio fermarti se vuoi) e fissare quelle tue tre cose che non vuoi lasciar sfuggire, serve e lo puoi vivere quando vuoi tu (anche adesso che siamo già ad aprile se non l’hai fatto prima).
Fissa le tue tre del mese, come ogni mese. Su un foglio di carta, su una nota nel cellulare, con un disegno, con un disegno nella tua mente, con un photo dump su Ig, però fallo, che ti fa bene. Puoi anche mettere il tuo foglietto in un barattolo di vetro e aprirlo a fine anno, come ti suggerivo tempo fa, avrai tante cose belle da ricordare, sai?
Io e il Milligram Store d’Australia (il paradiso della carta, dei quadernetti, delle penne e dei colori che ho scoperto a Melbourne) ti consigliamo di farlo a mano. Sono buone abitudini. ✍🏻
Se ti serve uno spunto, ecco qui i miei tre (alla fine io questi “esercizi” li faccio un po’ con te) e che ti siano di aiuto per definire i tuoi:
i miei primi 10km di corsa in gara (esclusi quelli della corsa campestre delle medie, questi erano davvero i primi in gara) » questo per dirti metaforicamente che non importa se il tuo obiettivo è più o meno serio, difficile, professionale, l’importante è mantenere la costanza e la determinazione per raggiungerlo. Per te e con te.
Il mio “ritorno a casa” (frase che potrebbe proprio fare da titolone a tutto il mese) in due realtà con cui sono rispettivamente nata e cresciuta » questo per dirti che indipendentemente dai posti che cambi, mantenerti genuino, sincero e autentico alla fine ti ripaga sempre. Il loro rivolermi con loro è davvero tra i segni di riconoscimento e gratitudine migliori che abbia mai sperimentato.
L’essermi candidata per una posizione che tra i requisiti chiedeva esplicitamente di saper essere concisi, brevi e diretti. Mi piace — mi piace un botto — il progetto, poi ogni tanto mi piacciono anche le cose difficili, qui intese come in cui mi devo mettere in gioco, e io quella candidatura l’ho mandata » forse la Marta pre Newsletter del Lunedì non si sarebbe “osata” a mandarla, conoscendo quando questi post siano lunghi, dispersivi e a tratti inconcludenti, e forse la Marta post Newsletter del Lunedì non riceverà neanche una risposta. Però sicuramente se non avessi scritto, non ne staremmo neanche parlando. Ti farò sapere.
Quindi ecco, il mio marzo è stato pazzo perché ricco di prime volte, sbalzi di umore e di momenti nostalgia (tanti, e tanti belli). I saluti in ritardo potrebbero essere un po’ questi: marzo è stato un piccolo caos, ma adesso che siamo ad aprile, possiamo guardarci indietro con un sorriso (o un po’ di stupore) e raccogliere quello che vale la pena tenere.
Questo è il mio March Madness Dump: disordinato, pieno, vivo.
E ora si riparte.
🐢 E lo stretching per la mente?
Ok, a marzo abbiamo corso (tanto), mettici le giornate giuste, il sole giusto, il podcast giusto, i pacer giusti, una garetta e qualche pensiero: ed è un attimo che corri 79km. E succede che quando corri, o quando ti alleni forte, poi fai stretching e rilassi i muscoli.
E la mente? Come rilassi la mente quando pensi troppo?
Intanto partiamo da una considerazione: io sento che sto cambiando. Faccio finta di non vederlo o che non sia così, ma se ci faccio caso, lo noto. Ora: non so se sia l’avvicinarsi dei 35 (il 35 è una cifra tonda? Perché mi fa uno strano effetto), o qualcosa nelle stelle, o entrambe le cose, ma mi accorgo sempre di più di non riuscire a stare ferma e seduta a lungo, di non riuscire a rimanere immobile e inglobata ad un PC come qualche mese fa, dimenticandomi di chi e di che cosa ho attorno.
Di recente mi capita che dopo un po’ che sono lì seduta mi fanno male le gambe (e le chiappe?! 🍑), mi viene il nervoso, sento che devo muovermi e fare un giro, mi viene fame, sonno, voglia di aria.
Fino a qualche mese fa non mi pesava. Forse non me ne accorgevo poi neanche tanto. Sai quando si dice dei bambini “dove lo metti, sta”? Ecco, sul serio se io ho da fare, mi metti lì e io ci sto per ore (infinite e immobili ore): resto seduta a una scrivania per ore che mentre sono lì inglobata in quel PC volano.
Tutto questo fino a qualche mese fa. Adesso lo soffro, dopo un po’ che sto lì mi viene male dappertutto e piuttosto finisco di scrivere quella mail da in piedi a un bancone e prendendo un caffé, ma devo alzarmi. Devo sgranchire le gambe e riattivare un attimo la circolazione, guardare fuori (meglio se un orizzonte lungo), prendere una boccata d’aria.
È come se il mio corpo di prima si fosse addormentato, ignaro di stimoli e bisogni, e il mio corpo di adesso si fosse risvegliato di colpo. Ogni tanto adesso devo dare aria ai pensieri.
Idem con la mente. Fino a qualche mese fa avrei potuto fare ragionamenti infiniti e crearmi mondi paralleli in cui succede tutto e il contrario di tutto per ore. Diventavano sessioni di overthinking con il potenziale per romanzi di successo e film da Oscar alla Tarantino. Adesso lo soffro, dopo un po’ che sto a rielaborare mondi e pensieri nella mia testa mi viene male, mi stanco a pensare, mi pesa proprio la mente - letterale! [Dai! Non ridere]. A una certa devo cambiare pensiero, o proprio non pensare a niente perché mi si appesantisce la testa.
Non pensare a niente, come ben sai è impossibile. Quindi qui è quando (uh che allitterazione tutte queste Q!) esco a correre, che è diventato un buon metodo sia per il non saper più stare seduta che per i pensieri.
Ma è davvero il metodo giusto?
Senti questa (è forte): Alan Watts dice che chi parla sempre, non ascolta mai niente di quello che dicono gli altri. L’unica cosa che sente (lui che parla sempre, o tu se parli sempre) sono le conversazioni con se stesso. Parla e parla e parla.
La stessa cosa succede a chi pensa sempre (hello, buongiorno, ciao ciao, eccoci 🙋🏻♀️🙋🏻♂️): pensare e pensare e pensare ti ingloba in un costante dialogo con te stesso, silenzioso e un po’ sotto voce dentro di te, che alterna simboli, immagini, parole che man mano prendono forma nella tua mente e rimbalzano nella tua testa. Secondo il mio amico Alan, questo pensare in continuazione da solo non ti porta a vivere.
Anzi, proprio come devi smettere di parlare per ascoltare ciò che gli altri intorno a te hanno da dire, dovresti smettere di pensare per scoprire di cosa parla davvero la vita.
Aspetta, te lo lascio dire da lui che lo sa dire meglio ed è anche più diretto:
Now, if you do that all the time, you'll find that you′ve nothing to think about except thinking. And just as you have to stop talking to hear what I have to say, you have to stop thinking to find out what life is about.
Ma un attimo, chi è Alan Watts 🙌🏻
Secondo me (non lo dico solo io) era un po’ un accademico fuori dall'ordinario, non ha scritto paper e testi per riviste specialistiche, anzi, aveva un linguaggio volutamente accessibile a tutti, quasi poetico e lo si conosce oggi un po’ come il ponte tra la filosofia orientale e quella occidentale. È un genio (è un genio dai), che avevo studiato in un momento sbagliato della mia vita e non ero stata capace di dargli il giusto spazio di riflessione. Adesso è tornato con tutte le sue verità.
🔎 Alan Watts (1915–1973) è stato un filosofo, scrittore e oratore britannico, celebre per aver reso accessibili al pubblico occidentale molte idee della filosofia orientale, in particolare il buddhismo zen, il taoismo e l'induismo. Con uno stile brillante, provocatorio e spesso poetico, Watts ha saputo unire spiritualità, psicologia e cultura pop, trasformandosi in un punto di riferimento per chi cerca senso, equilibrio e profondità in un mondo frenetico.
Te lo dico con una foto, per te che sei super fisionomista ma non ti ricordi neanche un nome (un po’ come me):
Tornando a noi e a Alan: nel momento esatto in cui smetti di pensare, entri immediatamente in contatto con le cose per davvero, e con quello che Korzybski chiama: "the unspeakable world".
No però aspetta, devo farti sentire meglio come suona la sua voce resa in musica da Adi Goldstein. Mentre bevi il caffé te la cerco.
Ci dice che tutte le cose più comuni e ordinarie che vedi, ascolti, tocchi, (annusi?), non appena smetti di chiamarle con il loro nome, quel nome che ci siamo inventati noi per classificarle e incasellarle da qualche parte, inizi a vederle davvero per quello che sono.
Ce lo dice con questo esempio, te lo prendo uguale così abbiamo lo stesso riferimento: se ti dico “vedo una foglia”, immediatamente ti immagini una cosa a forma di lancia, con un bordino nero e colorata di un verde forte, un po’ piatto e monocromo. Probabilmente ti immagini una di queste due 🍃 Ma nessuna foglia ha quell’aspetto. Forse nessuna foglia è verde.
Non ti è mai capitato di trovarti a camminare in montagna, per un sentiero, di osservare il paesaggio di fronte o che ti accompagna e perdere lo sguardo nel verde di una pineta? O tra le fronde dei rami? Di che verde erano? Probabilmente più di uno.
Se dovessi riprodurlo a colori su un foglio, che siano pastelli, acquerelli o tempere, probabilmente te ne renderesti meglio conto perché nessun verde di quelli che hai già a disposizione avrebbe la stessa sfumatura. E allora dovresti usare tutti i verdi a tua disposizione, un po’ di giallo, un po’ di marrone e forse anche un po’ di blu, per far venire fuori le sfumature giuste, le ombre, i riflessi dei raggi sulle foglie.
🍃 Quando ero piccola, me lo faceva notare mia mamma passeggiando per i boschi. La quantità di verdi che avevamo intorno era infinita.
🍃 In una di quelle classiche gite delle elementari con il pranzo al sacco e una macchina fotografica usa e getta che rivelava sempre meno foto a fuoco di quelle che pensavo, me lo aveva fatto notare anche “lamaestraelena” (una parola sola di maestra, lei si chiamava così): ci aveva portato in Burcina, una delle colline biellesi più belle in primavera, perché si fa coloratissima (e qui ci aveva visto lungo il Signor Piacenza negli anni d’oro della crescita del distretto tessile — ecco: se io avessi un 🎙️Podcast in cui intervistassi imprenditori, mi piacerebbe riportare in vita Felice per fare una chiacchierata sulla sua visione da industriale visionario e appassionato di botanica, lui e Ermeneglido Zegna - quanti se). Dovevamo riprodurre la “Valle dei Rododendri”, un’infinità di colori e sfumature.
I cinque colori rendono cieco l’uomo e i cinque suoni lo rendono sordo.
Per non lasciare niente fuori dal contesto, ci dice così Lao-Tzu (altro guru che ho scoperto sempre leggendo Alan Watts). Ed è esattamente questo: nessuno può vedere solo cinque colori, o può sentire solo cinque suoni. Se fosse così, quel qualcuno sarebbe cieco e sordo perché il mondo dei colori è infinito e altrettanto lo è il mondo dei suoni.
L’ossessione per il controllo e la categorizzazione ci rende incapaci di percepire la realtà nella sua interezza.
🍃 Mi è risuccesso correndo nel bosco dietro davanti casa con Ale (che da ex campione di triathlon quando corre, corre e che da personaggio spagnolo in cerca di chilometri da macinare, non abituato agli altipiani biellesi si perde spesso e di corsa veloce nei boschi): siamo usciti a correre domenica scorsa, in quella giornata con un’ora in meno e tantissima luce in più. Abbiamo visto foglie di tantissimi verdi diversi e sentito i suoni di tutti gli animali del bosco del mattino alle 8:00.
Solo se cerchi di smettere di fissare concezioni sul mondo dei colori e dei suoni inizi davvero a sentire e a vedere.
Ora: sono forse diventata un botanico? Un filosofo? Un piccolo buddha? Un Gianluca Gotto dei poveri? No, e ben me ne guardo - non avrei le conoscenze giuste per parlare di alcune cose nel modo giusto e credo che già così anche il povero Alan si stia agitando lì dove si trova ora. Al limite mi sto solo approcciando a dei trentacinque insoliti per questo 2025, full digital, full remote, full crazy, e quindi ogni tanto mi faccio più domande del solito e poi esco a correre (» il risultato è un feed di instagram pieno di meme di gente che ha sostituito le dating app con la corsa e i running club).
Però aspetta, non perdiamoci (eh te pareva): dicevo che il “ponte narrativo” con qualche newsletter precedente è proprio un po’ questo.
Ti ricordi quando ti dicevo che il nostro mondo moderno è ossessionato dalle etichette? Di come siamo ossessionati dall’incasellare tutto, dal dargli nomi, trovargli un posto, un senso, un obiettivo e una spiegazione (questa libertà di interpretazione me la sono presa io) e alla fine diventiamo ciechi e sordi alla nostra vera natura che è molto più fluida e vasta di una semplice definizione.
Qui Alan Watts suona più attuale che mai. Oggi veniamo incasellati in ruoli, titoli e categorie, ci autoincasseliamo in quei ruoli, titoli e categorie, per sentirci qualcuno: quando ci presentiamo, spesso diciamo subito cosa facciamo per lavoro, come se quello definisse la nostra intera identità.
E ci sta, in parte ci sta. Perché un minimo di “struttura” e linee guida ci servono, senza un minimo di ordine, senza qualche riferimento, il "caos creativo" potrebbe diventare ingestibile.
Però Watts ci direbbe che questo è come ridurre il mondo a "cinque colori" o "cinque note" — una semplificazione che ci rende ciechi e sordi alla nostra vera natura, che è molto più fluida e vasta di una semplice definizione.
La chiave è non identificarsi completamente con le etichette, ma usarle in modo flessibile, senza perdere la libertà di essere qualcos’altro.
Siamo fatti di più cose che il solo lavoro e un'eccessivo conformismo al riconoscerci in una casella già presa, non è la soluzione.
"The force of liberation will blow the world to pieces.
It’s too strong a current for the wire."
— Alan Watts
Lei è una metafora potente e non solo perché parla di elettricità: la libertà senza struttura è pericolosa, "è una corrente troppo potente per i fili che la devono reggere”, perché rischia di bruciare tutto invece di costruire qualcosa.
Tornano le etichette, le caselline, i ruoli un po’ per caso o per curiosità, o perché evidentemente la mia vita ogni tanto torna a farmi scontrare con quei punti di domanda simili a: "Marta tu cosa sei?”.
👩🏻💻 Mi è successo qualche giorno fa, presentando a un nuovo cliente un progetto di brand marketing con un’agenzia con la quale sto collaborando: avevamo il pitch perfetto, ma non ci eravamo date i ruoli. Zan zan!
👩🏻💻 E poi mi è successo a cena con i ragazzi qualche altro giorno fa, e qui ho sorriso (TANTO) perché per una volta non sono stata io a tirare fuori l’argomento: è stato Federico (apro parentesi perché se alla Newsletter #36 ti dicevo che si erano moltiplicate le Marta nel mondo, oggi si sono moltiplicati i Federico e solo a cena con me ce n’erano tre + uno che ci ha abbandonati dopo l’aperitivo — per me comunque bene così non sbaglio i nomi). Comunque: fa ridere perché Federico, classe ‘96 (o ‘97 non so bene), ha fondato un suo brand di abbigliamento e accessori cinque anni fa, ha un suo negozio monomarca qui a Milano (tra l’altro un brand e un negozio lifestyle di moda e accessori da gentlemen che per chi è appassionato di auto, motori e cose così, ci sta) e probabilmente ha altri vari progetti che gestisce in parallelo. Se vogliamo “classificare” lui è uno di quei ragazzi della Milano bene, del circolino potremmo dire, facile da “classificare” e potrebbe andare in giro a banfarsela perché lui il suo ruolo preciso e perfetto ce l’ha, da Founder, CEO e Imprenditore. Bene, proprio lui se ne esce di punto in bianco a fine cena, dicendo che è stufo di dover dire di cosa si occupa come prima domanda appena conosce qualcuno. “Ma perché non mi chiedono come sto? Che interessi ho? Cosa faccio nel tempo libero?”.
Federico, vorrei saperlo anche io.
Morale: adesso come prima cosa dice che fa il commesso (A-D-O-R-O). Quindi se passi da Porta Ticinese ed entri da Formula Iozzi e lo vuoi conoscere, chiedi del commesso.
Per tornare seri e lasciare tranquillo Alan che credo davvero si stia agitando: quindi sì, è bene avere una struttura e caselline di riferimento, ma non limitiamoci a quello.
Possiamo essere tutto e il contrario di tutto, come avviene nelle nostre menti quando ci chiudiamo nei nostri momenti di “overthinking”.
E fine così. Ti lascio il giusto tempo per te e con te, per digerire tutta questa teoria su colori, suoni e titoli in cui incasellarci, nomi di sociologi e guru del passato e per accompagnare i tuoi caffé presi al sole.
🎧 Lo sai che tutto questo l’ha reso in musica Adi Goldstein? Ed è molto più breve e bello di questa Newsletter.
La vuoi ascoltare in versione canzone? Questa con gli occhi chiusi però.
📖 E se vuoi un consiglio di lettura per iniziare con Alan Watts, entrare nel suo mondo, capirne il linguaggio e il pensiero, vai con lui:
"The Wisdom of Insecurity: A Message for an Age of Anxiety"
(tradotto in italiano come "La saggezza dell'insicurezza")
Perché iniziare da qui?
È uno dei suoi testi più chiari e profondi, perfetto se non hai mai letto filosofia orientale, ma sei curioso.
Parla del vivere nel presente, del perché cerchiamo costantemente certezze, e di come la vera libertà nasca nell’accettazione dell’incertezza.
È un libro breve, ma pieno di intuizioni che puoi leggere, rileggere e ogni volta scoprire qualcosa di nuovo.
E anche per oggi fine, grazie grazie per essere arrivato fino a qui. 🙏🏻
Io vorrei fare una cosa bella con te, ma oggi siamo andati lunghi, te la racconto la prossima settimana. Spoiler: ha un po’ a che fare con questo 👇🏻
Commento tecnico: ogni animaletto che accompagna il titolo nell’apertura dei paragrafi è puramente casuale e lo è altrettanto il suo ordine di comparsa quando corro per Parco Sempione a Milano.
📌 Post Scriptum
Immagina che io stia scrivendo questa Newsletter proprio oggi, di lunedì, e proprio adesso mentre la stai leggendo tu. Io scrivo e tu leggi.
In questa metafora qui, il posto del giorno, sarebbe Ditta Artigianale, una micro roastery di specialty coffee fondata dal 2013 a Firenze, che ha aperto da qualche mese anche a Milano.
Una novità nel quartiere Cadorna, a pochi pochissimi passi da casa, in quella mia bolla d’oro in cui vivo (ammetto questa bellissima comodità), che un locale così ancora non ce l’aveva e ne aveva anche un po’ bisogno (bravi Francesco e Patrick che avete scelto questo angolo di città qui): puoi prendere il caffé al banco, al volo e in piedi, puoi sederti con calma per un brunch, puoi stare ore a lavorare al PC o darti appuntamento per un pranzetto fresco, sano e bello (molto ampia anche la selezione di panini e crossant salati buoni e belli, se i carbs sono tuoi amici).
Da Rostery quale sono, l'offerta spazia dalle miscele per espresso, ai caffè monorigine provenienti da diverse parti del mondo, disponibili con vari metodi di estrazione.
La gamma di dolci e lievitati d’ispirazione internazionale è notevole, tra croissant francesi, cinnamon buns, carrot cake (Auri qui per te — segna) e poi qual quadrotto super compatto che come si chiama? Ha una forma perfettamente geometrica e ora sta andando forte anche su Instagram? Ecco hanno anche quello.
E la mia colazione? Io mi sono regalata un momento dolce a base di un caffé lungo e amaro (indovinato: è un flat white ☕️) e una fetta di banana bread. 🍌🍞 Da rifare ancora.
Complice la recente apertura credo, ma non solo, sono tutti molto molto accoglienti, gentili e disponibili: mi hanno raccontato la storia del loro caffé ☕️ (fattela raccontare perché merita), mi hanno fatto assaggiare l’infuso di caffé ☕️ (mega super novità che ammetto che non sapevo esistesse) e mi hanno regalato un pezzo di pane appena fatto, da assaggiare a casa (sì, vendono anche il pane).
Da tornarci ancora.
E se sei a Milano, buona Design Week! 🚀
xx, Marta