#10 | La Newsletter del Lunedì
Di cifre tonde e somme che si tirano, di qualche bugia che vale la pena raccontarsi, di sane perdite di tempo e di coincidenze belle.
🙏🏻 Con oggi siamo a 10
Dieci lunedì che sanno di sabato, dieci settimane insieme, dieci caffè presi alle 10:00, dieci più di dieci minuti che ti sei dedicato ogni settimana leggendomi (FYI per un totale di 2h40 minuti e 35.712 parole), dieci disegni fatti a mano, dieci PS in cui ti ho raccontato i miei angoli preferiti di Milano, Barcellona e Biella, dieci volte in cui mi sono fermata a riordinare pensieri fino a poco prima annodati nella mia mente, dieci “first things first” in cui ti ringrazio perché nulla di quello a cui ha dato vita questo Substack è scontato.
Anzi, questa volta te lo dico con una canzone 🎧, una delle mie preferite della storia (soprattutto nella versione di Rupert Everett in My Best Friend's Wedding, la prima che ho sentito in assoluto, e che resta ancora la mia preferita 🥹 - scusa Aretha):
Oggi che arriviamo a 10 momenti assieme, rileggo i messaggi, i commenti, le email che ho ricevuto dopo ognuna di queste newsletter, tiro un po’ di somme e scopro che questi 3 sono i post preferiti:
📌 La Newsletter che parla di quella terra magica che ha silenziosamente innescato tutto
📌 La Newsletter in cui ti parlo di riflessioni aeroportuali e di passioni da ritrovare, coltivare e tramandare. Con una canzone simpatica e bella bella 🎧
Leggile ora se non le hai ancora lette, rileggile se ti sono piaciute e inviale a chi pensi ne abbia bisogno. Gli faranno bene. Io rileggo la prima, la numero #0 perché ci sono affezionata.
Ricordo che mentre impostavo questo profilo Substack dieci settimane fa (e forse anche un po’ di più) un po’ per piacere, un po’ per gioco e un po’ come sfida con me stessa, pensavo che ci sarebbero stati tanti momenti di introspezione, più di quelli che di solito avevo con me stessa perché mi stavo prendendo un impegno anche con te. Ma non avrei mai immaginato che si sarebbe creato questo legame di anime affini, condivisione, supporto reciproco (e anche disagi comuni in alcuni casi).
Ricordo che mentre impostavo questo profilo Substack dieci settimane fa, temevo di non riuscire ad avere la costanza, la voglia, la determinazione giusta che mi avrebbero portato a farlo davvero (alla fine annotare i miei pensieri in un quaderno ha tutta un’altra regolarità), poi non ero neanche al primo esperimento blog/scrivo in digitale e lo stesso Curious about Life ha sempre fatto un po’ fatica, povero (alla fine non ci ho mai investito il dovuto, indipendentemente dal potenziale) ed è sempre stata una cosa molto per me. In parte ero anche convinta che non avrei mai avuto il tempo per farlo (e questa illusione sul tempo che manca sempre in effetti è comune e mi riconosco nel 📌 post di Lorenzo Ferrari qui, te lo consiglio perché fa riflettere).
Da dieci settimane invece, sapere che tu cerchi il lunedì per leggere la nuova newsletter, aprire un messaggio che mi chiede se sto bene quando non sono riuscita a scriverla, scoprire da una tua storia su Instagram (o in uno dei tuoi nuovi post) che sei a caccia di glimmers, ricevere messaggi di ringraziamento anche da indirizzi che non conosco e sapere che mi aspetti, mi scalda il cuore.
E allora i compiti di questa settimana arrivano subito (via il dente, via il dolore ti potrei dire, se non fosse che questi sono compiti belli e a fine newsletter capirai il perché) 🙌🏻
Prendi carta e penna o apri le note del tuo telefono (quel posto che ospita le bozze di tutti i messaggi più importanti che mandi, prima di mandarli - o che forse in alcuni casi non hai mai mandato), scegli quelle canzoni che sai che ti fanno stare bene, metti su un caffè buono e prenditi dieci minuti per pensare a dieci cose belle (cose, persone, parole, note, bocconi, carezze, passi, viste, risate, lacrime, emozioni, momenti, anything, sii creativo, che ti hanno fatto bene).
🙌🏻 Disclaimer: puoi anche fermarti qui, chiudere la schermata e scegliere di continuare la lettura dopo per fare questo esercizio in un posto bello (vai dritto al PS* di oggi se vuoi il suggerimento del giorno).
As always, la playlist te la do io se sei a corto di idee (nel tempo ho fatto qualche aggiunta):
E questa volta ti consiglio anche un tool per annotarti le cose: hai mai usato Notion? È comodo ed è carinissimo, puoi personalizzarlo, aggiungere tutte le emoji che vuoi e usarlo per fermare pensieri, elencare liste, copiarti quote da tenere e ricette da non perdere, pianificare il tuo prossimo viaggio. Qualsiasi cosa. La tua pagina potrebbe avere questo aspetto per esempio:
Inizio io, anche perché non ho molta alternativa in questo caso, ma spero tu non prenda questa iniziativa come prepotente: è solo un modo per aiutare anche chi fa più fatica a trovarli, a vederne alcuni. E poi lo sai: questo esercizio lo faccio con te, ma anche per me perché nella pratica non sono tanto brava come sembro, ho anche io momenti meno belli (figurati!), in cui mi vado sul serio a rileggere qualche newsletter vecchia, mi auto-aiuto e lascio che mi parli. E non ti nego che trovare dieci cose belle è sfidante, ma so che più ci penso, più le cerco, più le trovo.
Quindi:
10 cose belle che mi sono capitate in queste 10 settimane
🚀 il mio nuovo inizio dopo sei mesi di ricarica
❤️🩹 l’aver scoperto la forza che risiede nel mio essere fragile, vulnerabile e sensibile e nel non volere essere diversa da così
💪🏻 la costanza di correre +10km almeno una volta al mese
🌊 fare il primo bagno dell’anno a metà marzo e a 18°
🌸 partecipare al Fuori Salone da addetta ai lavori, ritrovare il progetto su Elle e Living Corriere e vedere entrare +3000 persone al primo evento: nel breve, la soddisfazione di vedere un progetto bello prendere vita
👍🏻 qualche occasione presa al volo e qualche sì detto senza pensarci troppo, che si sono convertiti in momenti belli
🍃 i miei migliori amici che a turno mi regalano sorprese sempre più belle fatte di nuovi cuoricini che battono
✨ un regalo (molto) inaspettato (sì, è quella cosa che torna dalle ultime tre newsletter e alla fine nel ps di oggi mi è scapato 🤫) che condividerò con le mie persone più importanti
🙏🏻 tu e il tuo leggermi costantemente (per sempre grata)
🫂 due abbracci in cui mi sono sentita a casa, con due persone che conoscevo ormai da un po’, ma che hanno ora una nuova luce e un nuovo significato
Ora it’s your turn 🫵🏻 Dai quali sono le tue?
Non ne servono dieci, ne bastano tre o anche solo una, quella che ha reso un po’ più sabato il tuo lunedì (il tuo martedì, mercoledì, la tua settimana). Ne basta una che ti ha fatto sorridere, un momento in cui non hai guardato l’orologio, o sbirciato compulsivamente lo schermo del tuo cellulare: ne basta una in cui hai vissuto pienamente. Se vuoi un aiuto, recupera whatsapp o il tuo rullino fotografico e guarda gli ultimi messaggi o ancora meglio, i tuoi ultimi scatti (è molto probabile che quella cosa bella tu l’abbia fotografata - a meno che tu non abbia voluto vivertela al cento per cento abbandonando il tuo telefono lontano, e allora qui hai anche tutta la mia stima e ammirazione, oltre al fatto che mi hai appena reso molto orgogliosa; in questo caso chiudi gli occhi e cercala dentro di te).
Non devi farlo per forza, come non devi per forza leggere queste newsletter ogni lunedì e fino in fondo. Ma FYI lo sai che più le cerchi, più le trovi?
Più ti focalizzi sulle cose di cui essere grato, più si fanno opache e sbiadiscono quelle che ti preoccupano. Provaci.
E ti suggerisco di cercare le cose belle della giornata ogni sera, prima di addormentarti. Verranno spontanee e presto ne saprai trovare davvero anche più di dieci.
🏡 Con oggi siamo a 10 e c’è una novità
Da classe 1990 quale sono, prediligo i libri cartacei, le lettere scritte a mano e inviate dall’altra parte del mondo con un francobollo (e qualche decina di preghiere), cartoline che prendono la pioggia e raggiungono la loro destinazione sei mesi dopo (se arrivano) un po’ sbiadite, rullini di momenti belli da rivelare mesi dopo, biglietti di auguri imperfetti ma fatti a mano, messaggi scritti che se non raggiungono la loro destinazione neanche sei mesi dopo è perché non dovevano arrivare, pensieri che prendono forma prima sulla carta e dopo qui (e questo un po’ lo sapevi già).
E allora ecco la novità che arriva con questa decima newsletter: una volta al mese (o magari anche un po’ di più se mi capita), invierò davvero una di queste newsletter in formato cartaceo a uno di voi e ti arriverà in versione preistoria 🦕 nella tua buca delle lettere (ecco, su questo non posso garantire che ti arrivi di lunedì, ma se così dovesse essere sarebbe una bella coincidenza - no va be, se succede però dimmelo!).
In queste dieci settimane ho ricevuto più confessioni e condivisioni di quelle che mai mi sarei immaginata: in parte i tuoi stati d’animo, disagi, problemi in alcuni casi, sono diventati i miei, le tue ricerche di glimmers e felicità o le tue preoccupazioni sono diventate le mie e non nego di avere già in mente i primi potenziali destinatari di lettere cartacee in cui condividere una parte di vita più intima, privata e più adatta a lei/lui. Non so come andrà, alla fine queste cose sono un po’ (tanto) belle anche per questo e non me lo chiedo, ma per adesso mi sa di cosa bella, che voglio fare e mi fa stare bene.
Ah dimenticavo, tolto questo preambolo, le parole di oggi sono 4208, si leggono in 16:49 minuti.
Let’s go! 🚀
🤫 Tu ti sai raccontare le bugie?
Rileggi bene la domanda. Tu ti sai raccontare le bugie?
C’è un “ti” che probabilmente ti è sfuggito e che è un po’ la chiave della riflessione di oggi. Non si tratta infatti di un post che invoglia alle cattive abitudini (cosa che per altro mi ha spaventata, perché facendo un minimo di ricerca ho scoperto che 1 persona su 2 le racconta abitualmente e da lì poi gli si innesca un meccanismo per cui ne diventa dipendente - e il caso ha voluto anche che mentre io stavo scrivendo seduta nel posto che ho scelto oggi per ricaricare*, due ragazze si stessero confidando segreti e momenti di vita semi-coniugale fatta da mille segreti, bugie e cose da non dire).
Io non le so raccontare (purtroppo, aggiungerei, perché in alcuni casi riconosco che aiuterebbero a gestire più facilmente tante situazioni), mi tradiscono le guance che si fanno rosse subito e le parole che escono a scatti e a caso, e poi comunque mi sento talmente in colpa che mi si chiude lo stomaco, mi viene da vomitare e insomma, neanche più ci provo. Ma sono anche un po’ ingenua e non sapendole raccontare, sono spesso vittima (consapevole) di chi ne è (più o meno consapevolmente) professionista. So che tanti di quei “scusa mi si è scaricato il telefono, ti penso, mi manchi, ti voglio” non erano così tanto sempre veri, ma ho spesso preferito crederci. In quel momento mi faceva bene così. Idem per quei “abbiamo chiuso la posizione per cui ti eri candidata”, o i mille “ti faremo sapere” perché in effetti le bugie non devono essere per forza legate alla sfera sentimentale, anzi, prendono un po’ tutti gli ambiti di vita. Fa un po’ parte del gioco creativo e spesso incomprensibile della nostra esistenza.
Comunque le bugie di cui ti voglio parlare io sono quelle sane, a fin di bene e innocue che ci auto-raccontiamo (ecco io non sono brava a raccontarle a te, ma a me stessa tantissimo).
Sono quelle “storielle” se vuoi, che fanno anche un po’ paura, quei raccontini con cui ci teniamo occupati a fantasticare per scacciare problemi, preoccupazioni e ansie che ci disturbano, ma che ci fanno stare bene. 💆🏻♀️
Qualche newsletter fa, ti dicevo che non esiste una vera e propria ricetta per la felicità, e credo che dieci newsletter dopo ormai sarai d’accordo con me che la felicità sia da cercare, costruire e vivere giorno per giorno con qualche micro momento di spensieratezza, qualche glimmer o qualche sbalzo in positivo di umore, un po’ come ci dice Milena Busquets in questo Ensayo General:
Credo profondamente che uno di questi sbalzi di umore sia da accreditare alle bugie positive, quelle che ci danno la carica per affrontare quel momento meno bello e che non va come abbiamo pianificato (e quando mai!).
Forse non sono vere e proprie bugie (in effetti “bugia” sa di cosa brutta) sono per lo più storielle che ci auto-raccontiamo, mini inganni per la mente e tutto quello di cui abbiamo bisogno per stare bene anche quando non stiamo poi così tanto bene (o non al top come vorremmo), sono quei racconti belli che ci aiutano ad andare avanti bene. Ci autoinganniamo forse, ma in parte ci aiutano.
E qui: che vinca il più creativo! Perché alla fine non sappiamo quando quella situazione un po’ pesante in cui siamo dentro finirà, ma succede che mentre fantastichiamo sulla vita fuori dal quel buio, poi succede che quel buio poi finisce. Non sappiamo quando ritroveremo noi stessi, ma fantasticando sul come staremo quando ci saremo ritrovati, poi succede che ci si ritrova (Auri, questo occhiolino è per te 🫶🏻). Succede che a forza di dirti che “sei forte, che sì che ce la fai e che hai fiducia in te stesso”, alla fine poi ci credi anche tu - anche se te lo stai dicendo controvoglia e senza crederci più di tanto, proprio in uno di quei momenti in cui sei tutto meno che l’immagine che stai proiettando.
Credo profondamente che queste micro bugie siano sintomi di micro passi verso la felicità, perché mi è successo. E te lo racconto perché sono sempre stata molto (molto) scettica con chi cercava di avvicinarmi al potere della mente: io a dicembre 2022 pensavo che la mia vita avesse perso ogni senso (e ci tengo a sottolineare che non parlo solo a livello sentimentale - non sarebbe giusto), si erano proprio sommate tante cose assieme. E da qui il cedere a quel dialogo con quella persona così strana che più o meno consapevolmente mi ha aiutata. Lasciamo stare i giri che mi hanno portato a lei (per i più curiosi nel caso sentiamoci e vi aggiungo info), fatto sta che dopo qualche riflessione fatta assieme a questa persona strana, è stata lei a consigliarmi di adottare nuove pratiche di vita quotidianamente. Una di queste era proprio il ripetermi che ero forte, che ce l’avrei fatta, che avevo dentro di me già tutte le risposte e quello che mi sarebbe servito per andare avanti. Non avrei dovuto farlo allo specchio, o a voce alta. Ma lo dovevo ripetere almeno tre volte al giorno.
Oh! Io non lo so se è stato quello, però alla fine adesso ci credo, quindi l’obiettivo l’ho raggiunto: mi sento forte e molto più valida di chi a giorni alterni mi ha fatto sentire il contrario o “non abbastanza” e a volte vorrei poter tornare indietro per rivivere momenti di sconforto con questa mia nuova consapevolezza. Il scegliere di lasciare quel lavoro, il prendere in mano la mia vita, il decidere di farmi un viaggio zaino in spalla e dall’altra parte del mondo credo siano l’effetto esplicito e concreto di quel raccontarmi le mie mini bugie. Mini bugie sì, perché quando ho iniziato a dirmele ero davvero tutt’altro che forte, lo riconosco.
E spero che tu legga questo aneddoto come esempio pratico e concreto di vita di una persona normale, a tratti disallineata mentalmente come te. Non vuole essere un mettermi in mostra anzi, conoscendomi e leggendomi sai bene che su quello (per quanto ora io mi senta forte) dobbiamo ancora un po’ lavorarci 😅
✋🏻 Pausa respiro e melodie dolci 🌬️🎧
Io a volte lascio che la mia giornata inizi (o finisca) con le canzoni random di Spotify e dei mix che sceglie lui per me (un po’ per curiosità del suo capire il mio stato d’animo e approvare o meno le sue scelte, un po’ per scoprire cose nuove, un po’ perché ci sono giorni in cui non so neanche io cosa ho voglia di ascoltare, un po’ per lasciarmi sorprendere anche dai ricordi che si portano dietro quelle canzoni che non avevo intenzione di riascoltare e vedere come mi fanno stare). In una di queste giornate che stavano finendo mi sono imbattuta nella strofa di una canzone che dice:
È una finta verità che mi brucia ma guarisce il cuore
Ecco che ritornano queste mini bugie e finte verità: raccontiamocele in ambito sentimentale e amoroso, ma non solo. Queste finte verità ci aiutano ad andare oltre quando oltre ancora non ci siamo, ci aiutano ad auto farci forza, coraggio e a darci da soli quella spinta, quel motivo per sorridere e fa rima con il volersi bene.
E anche qui mi sono un attimo informata (non vorrei mai che prendessi queste mie riflessioni troppo alla lettera 🙊). Questa capacità di raccontarsi una storia significativa rispetto alle avversità della vita si chiama 🔎 patologia dell’autoinganno e ho scoperto che può essere anche pericolosa per alcuni versi. Ma facciamo che non ne abusiamo.
🔎 Patologia dell’autoinganno
Rappresenta un processo efficace attraverso il quale impariamo a gestire delusioni, conflitti e sofferenze. Questo processo narrativo, è bene esserne coscienti, non è affatto esente da rischi. C’è, per esempio, la patologia dell’autoinganno sempre in agguato, l’eccesso di fiducia e di ottimismo, così come l’opposto senso di persistente e invincibile insoddisfazione.
C’è, infine, un altro aspetto da considerare che va sotto il nome di “riflessività”. Una caratteristica determinante del processo di costruzione narrativa del senso della nostra vita è l’interazione tra le nostre storie personali e la “grande storia” del nostro tempo: i “frame” nei quali siamo immersi, le retoriche prevalenti e spesso contrastanti tra loro, le visioni del futuro e le promesse del presente.
Dicevo, facciamo che non ne abusiamo e fermiamoci alla parte in cui siamo eccessivamente fiduciosi e ottimisti, autoinganniamoci su cose che in fondo in fondo, sappiamo che arriveranno, dobbiamo solo avere pazienza e concentrarci su quel successo, quell’arrivo, quella partenza, quel ritrovarsi, quel cambio, quel benessere e quella serenità d’animo che vogliamo ritrovare. Perché più ci pensi, più arrivano!
Funzionano come le mood-board della Newsletter #9 🙂
E ti dirò di più: sono proprio i pensieri e le parole che scegli per parlarti ad influenzare le decisioni e ciò che vivi.
Ti lascio un reel che fa piacere ascoltare, ma te lo riassumo sotto in poche righe:

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Ciò che pensi produce energia nell'universo.
Attraverso le nostre credenze e pensieri modelliamo la materia.
La trasmissione di pensieri e sentimenti attraverso la rete neurale provoca l'espressione di geni che a loro volta innescano la sintesi proteica nelle cellule. Questi processi cellulari producono campi elettrici e magnetici che possono essere misurati con l’encefalografia e la risonanza magnetica.
Ecco perché ci dobbiamo parlare con parole positive e gentili. Nel continuare a dire che non sappiamo fare una cosa, è molto probabile che poi non riusciremo a farla. Viceversa, nel dirci che ci ritroveremo, ci ritroveremo.
Più ci fai caso, più la vivi, più dici ad alta voce quello che vuoi, più arriva.
E parlando per me, posso dire che quei “sono forte” ripetuti a tre per tre sono diventati litanie che mi ripeto anche quando non riesco a prendere sonno per addormentarmi, o mentre corro per non fermarmi, o se sono a disagio con qualcuno per alzarmi ed andarmene, o in generale per riuscire a dire di no.
E allora se sono autoinganni o bugie quelle che mi raccontavo racconto, forse un po’ mi hanno fatto fanno bene. Nel dubbio, io ti consiglio di raccontartene una.
✨ Le cose belle di queste 10 settimane erano più di 10
Tra le cose di cui essere grata in quest’ultimo periodo posso citare anche l’imparare a lasciare andare il senso di colpa, quando non necessario.
Il senso di colpa generato magari da quel voler rallentare, fino a fermarmi e fare una passeggiata solo per il gusto di farlo e in tutti quei momenti che in tanti considererebbero come perdita di tempo (e non li biasimo, siamo dentro a una società moderna che ha le fattezze di un vortice velocissimo e che ci insegna a essere super produttivi sempre, a correre ascoltando un podcast così nel frattempo ci tieniamo aggiornati con le ultime news della giornata, e a usare lo stesso Instagram per diventare “the most interesting person in the room” - anche a te arrivano quelle pubblicità?). Ci stanno, è bene essere informati e sapere cosa accade nel mondo, ma questa menzione mi fa da gancio per un mio dirti che non sono fan dell’essere over-stimolati al punto da perdere il senso di quello che si fa. Rivendico il tempo del riposo puro, quel non fare niente che ti aiuta a ridare il ritmo giusto al respiro e a trovare finalmente quell’idea creativa che non ti veniva. E non ti dico che sia facile, anzi, credo che la capacità di riuscire o meno a recuperare quel riposo in senso stretto, magari da soli e in silenzio, abbia a che fare con il tuo riuscire o meno a stare bene con te stesso.
Il vagare senza meta per il semplice gusto di farlo, che nel 1800 accomunava tanti poeti e letterati, si è trasformato nella filosofia dell’hygge olandese, da poco scavalcata dal niksen di cui hanno parlato questa settimana anche tante testate italiane (diciamo con una readership un po’ più ampia della mia):
📌 Cos’è il niksen, l'arte olandese di non fare nulla, e perché dovremmo praticarla anche noi
Arte della quale parlavano già nel 2019 in Inghilterra o in Australia e l’ultimo link del TIME è il migliore:
📌 What Is Niksen? The Dutch Lifestyle Concept That Allows Us To Do Nothing
📌 Niksen Is the Dutch Lifestyle Concept of Doing Nothing—And You’re About to See It Everywhere
Sarà che questa storia della vita veloce che causa burn-out sta diventando sempre più comune? Ora, non per infierire, ma ricordo che solo in Italia, ad esplodere sono due lavoratori su tre (secondo una recente indagine della piattaforma internazionale per la formazione aziendale GoodHabitz).
Eppure siamo in Italia, appunto, la patria di quel Dolce Far Niente di cui forse ci siamo un po’ dimenticati (e che di solito forse, facciamo solo in estate come dimostra questo vecchio vecchissimo carosello di un tempo in cui andavano ancora di moda le foto con la grana).
🧘🏻♀️ Ma perché ci sentiamo in colpa a rilassarci?
Ha ancora a che fare con la società che va veloce, che deve fatturare, materialista e multitasking?
La scorsa volta ti parlavo di silenzio e una volta diffusa la newsletter mi sono accorta che questa riflessione non era ancora finita. O meglio, l’ho sentita presente, autentica e attuale anche nei giorni successivi (ed è un po’ così che mi immagino l’ingresso di queste newsletter nella tua vita: pensieri letti, che si posano e restano con te nel tempo per riaffiorare quando ne hai di nuovo bisogno). Dicevo che è tornata nei commenti di Roberta, una super collega e donna ammirevole, che in ufficio ci raccontava di aver ascoltato tre ore di podcast, riconoscendo anche come le fosse ormai impossibile stare ferma e fare una cosa per volta: deve essere costantemente stimolata. Me la sono immaginata a stendere, ma con un podcast nelle cuffie per imparare qualcosa.
Me la sono immaginata in maniera molto nitida e precisa, perché in passato succedeva spesso anche a me: ricordo che quando ero in università leggevo, ma erano libri di letteratura inglese in lingua per imparare nuovi vocaboli e per passare gli esami, non tanto per il piacere di farlo. Quel piacere l’ho poi riscoperto dopo, riaprendo alcuni di quei libri e leggendoli al mio ritmo e secondo le mie interpretazioni (o quel che mi ricordavo).
Idem quando mi sono trasferita in Spagna e spesso mi ritrovavo in salotto con le mie coinquiline a guardare la televisione. Non la consideravo una perdita di tempo solo perché la TV era in spagnolo e stavo comunque imparando qualcosa. Ma fossi stata a casa, nella mia vita abituale, l’avrei considerata una perdita di tempo - non era ammesso stare al pomeriggio a poltrire davanti alla televisione. E su questo stile di educazione sono d’accordo in generale, ma arriva poi un punto in cui questi micro momenti poi li cerchi e capisci che ti fanno bene.
Ecco, in questo ultimo anno ho imparato ad apprezzare anche quelle “perdite di tempo” lì, e a capire che sono proprio tutto tranne perdite di tempo. Non sono altro che quel ritrovare un po’ di calma per se stessi, focalizzarci e combattere lo stress.
Sono d’accordo sul dire che è dal fare movimento, socializzare e stare con le persone che si crea energia, positività ed è da qui che deriva la felicità, ma forse la società dinamica e velocissima degli ultimi anni ha come effetto collaterale la pressione temporale, che ci costringe a combattere lo stress anche stando fermi.
Sono un po’ di questa idea qui e porto avanti la filosofia di uno stare fermi consapevole che fa rima con l’andare a fare una passeggiata 🍃 solo per il gusto di farla (e non per smaltire il biscotto in più che abbiamo mangiato), l’ascoltare una canzone in inglese 🎧 solo per il gusto di far vagare la mente (e non per imparare quelle 10 parole nuove al giorno), il distendersi su un prato 🌴 solo per il gusto di farlo (e non per abbronzarsi il giusto per venire bene nella prossima fotografia), il perdersi a guardare fuori dalla finestra 🪟 solo per lasciare vagare l’immaginazione (e non per trovare il senso a quel pensiero), il cucinare un piatto buono 👩🏻🍳 solo per il gusto di farlo (e non per ricevere più like una volta pubblicato nel feed di Instagram). Fare i compiti della Newsletter del Lunedì 📚 solo per il piacere di arricchirti con questo tuo momento di riflessione per te (ecco svelato il capire di qualche riga sopra). Il fare per fare e non per essere produttivi, il fare senza porsi obiettivi e recuperando invece il piacere del tempo, contemplando la presenza del nulla nella nostra esistenza.
Chiamiamolo Dolce Far Niente, Niksen, voglia di rallentare, fermarci e respirare, rubare momenti allo scorrere di una routine incalzante, ribellarsi a una quotidianità che corre e ci spoglia di noi stessi con piccoli gesti che ci costringono al viverci tutto quel momento senza guardare l’orologio (e non perché lo abbiamo dimenticato a casa, ma perché ce ne siamo dimenticati, troppo impegnati com’eravamo a vivercelo bene).
Ecco, in questo ultimo anno ho imparato a misurare la vita con i momenti in cui non guardo l’orologio (o lo schermo del cellulare per intenderci) e a fare una cosa per volta.
In questo ultimo anno ho disimparato a essere multitasking.
☝🏻Una cosa per volta
Ho (ancora) la brutta abitudine di lavarmi i denti camminando per il corridoio mentre metto su una lavatrice, finisco di mettermi le scarpe e rifaccio il letto. 🪥🧺👟🛏️
Va da sé che ogni volta che lo faccio distruggo lo spazzolino, sgocciolo acqua e dentifricio nel corridoio e spesso mi dimentico di far partire la lavatrice o di allacciarmi bene le scarpe. 🪥🧺👟🛏️ Quindi per ottimizzare il tempo faccio quattro cose e tutte male.
Ho chiarissima nella mia mente l’immagine di mia mamma che rientra a casa la sera dopo una giornata di lavoro, l’aver fatto la spesa e l’aver recuperato me e mia sorella a danza (o forse era pallavolo, atletica o uno di quegli sport che si fanno da piccoli), che mette su la cena ancora con la giacca addosso (per ottimizzare quei 3 minuti di tempo).
E sono d’accordo con te e con quello a cui stai pensando: si impara a rallentare, non ci si nasce.
Me ne rendo conto con Anna, aka “la mia vicina di casa, conosciuta a Bali”, che si trova ora in uno stadio di vita simile al mio di qualche mese fa. Parliamo spesso di come investire il tempo in queste situazioni anomale senza annoiarsi, senza perderlo davvero e mi trovo spesso a ricordare le mie giornate-tipo di quei sei mesi spesi a recuperare le mie energie quando avevo bisogno di silenzio e non lo riuscivo a trovare. Mi rendo conto di come non sia una cosa innata, di come si faccia fatica a rallentare e a stare da soli con se stessi.
In quanti lavorano anche il sabato e la domenica perché se no si annoiano? Siamo abituati ad essere occupati e ad avere le agende piene, abbiamo l’ansia della pagina vuota, della colonna di Google Calendar completamente bianca e senza impegni, del weekend libero.
Capita ancora anche a me ogni tanto (confesso). E mi è capitato di recente, se non sbaglio era mercoledì, quando sono uscita dall’ufficio alle 18:30, ma avevo una cena alle 21:00 e per un attimo ho pensato di fermarmi e portarmi avanti con qualche cosa, perché non avrei saputo cosa fare nel frattempo. Sono rinsavita, sono uscita, mi sono regalata una doccia bollente e infinita, ho preso la bici, sono andata a comprare il gelato e ho raggiunto i miei amici per la cena con calma, pedalando per Milano ascoltando una di quelle playlist casuali di Spotify di cui ti parlavo prima. In 20 minuti ero dall’altra parte di Milano e perfettamente in tempo.
Mi sento sempre un po’ Mrs. Dalloway quando racconto questi dettagli, in questo modo. Mrs. Dalloway che è anche uno di quei libri che ho dovuto leggere in università e si è trasformato nel mio romanzo preferito da rileggere infinite volte una volta conclusa il corso di studi.
Ed ecco che torna l’importanza di rallentare, di fare una cosa per volta, di focalizzarsi su quello che si fa e di farlo bene. Torna, e nel suo tornare mi fa rendere conto di come invece mi siano bastati un po’ di giorni assurdi e veloci per farmi abituare facilmente a quel ritmo da fiato corto e mente piena. Fermarmi dopo un po’ di giornate in corsa e mettermi a scrivere per ritrovare il ritmo lento è stato più difficile del previsto, mi accorgevo di avere una sorta di fischio nelle orecchie e una strana sensazione come di semi stordimento (scrivere però mi aiuta e ti consiglio di farlo nei momenti in cui la mente ti si affolla di pensieri urlanti).
Quindi anche io, per quanto ormai abbia un master nella gestione del silenzio e dei momenti calmi, ho dovuto impormi di stare ferma, di ascoltare il mio battito cardiaco e spegnere il telefono. Mi sono imposta di fare una cosa per volta e di farla per il semplice gusto di farlo.
Credo che la felicità abbia un po’ a che fare anche con il riconoscere la pace e l’armonia che segue al caos del periodo precedente, nel percepire l’arrivo della calma dopo l’agitazione e del silenzio dopo un po’ di confusione mentale.
📌 Post Scriptum
Ciao tu. Oggi come stai? Queste mille+ parole che ti parlano di calma dei sensi e dell’importanza del dolce far niente te le scrivo da Tone | Bread Lab, un panificio con un bancone di novità buone e sempre diverse, un angolo di Milano in cui fare colazione, prendere un caffè o fare un aperitivo con prodotti che si trovano in natura solo in questa stagione, un posto di coincidenze belle. Dicono:
We bake ideas with hands and mind through what nature provides.
Da TONE sono stata la prima volta con Arianna 🙋🏻♀️, un cuore dolcissimo di persona che ho scoperto in ufficio poco prima di lasciarlo il luglio scorso e che ho poi scelto di tenere nella mia vita (Ari quando ci torniamo?!).
Ci sono tornata per un caffè al volo e un abbraccio che ha saputo sapere (aiuto quante s) di casa, seppur bagnatissimo causa la pioggia senza sosta di questi giorni.
Ci sono poi ritornata anche da sola, per una colazione dolce e lenta alle 10:00 di un venerdì senza mail e senza connessione per pianificare il mio prossimo viaggio in Islanda (TA DAAN! ✨ Ecco qual era la cosa bella che mi è successa qualche settimana fa e che è tornata a micro dosi nelle ultime tre newsletter).
Consiglio: pane al cioccolato da portare a casa e da gustare a fette tutte le mattine successive (finché dura), spalmato di marmellata ai frutti di bosco (come mi consiglia una cliente abituale mentre sono in cassa, perché TONE è fatto anche di queste relazioni belle qui).
Si sta un po’ come a casa, e come a casa e nei posti in cui si sta bene, ci si resta. Io sono stata seduta due ore e ho visto entrare tutti i clienti del mattino, da chi si è fermato tanto quanto me a raccontarsi degli ultimi drammi amorosi (resi complessi da poliamori, bugie e cose non dette che un po’ mi fanno paura), sciure del quartiere che cercavano il pane senza sale, anche se lo fanno solo il martedì, stranieri che entravano a frotte dopo aver scoperto questo angolo dolce e croccante da qualche post Instagram, e a tutti sono state riservate parole gentilissime, simpatia e cordialità che sono rare di questi tempi. I camerieri conoscono tutti per nome, c’è un’atmosfera amichevole e divertente, ci si sorride e si improvvisano battute anche quando entrano dieci persone per volta che mettono le mani sulla vetrina, ungendola tutta.
Giovanni, il proprietario, è innamorato dell’Islanda dove probabilmente ha lasciato un pezzo di cuore; ci è tornato tre volte per cercarlo (o riperderlo?), per poi preferire di lasciarlo lì perché più al sicuro.
E nei momenti di più calma ho potuto notare anche i dettagli più piccoli, come le stampe alle pareti fatte con i fondi di caffè, signori libri di signore case editrici sulla cucina e su posti da provare almeno una volta nella vita, una selezione di vini naturali con etichette illustrate carinissime, le buste di caffè torrefatto fresco. Tra l’altro hanno davvero un “tone” in vetrina (il forno georgiano), a voler simboleggiare lo strumento con cui l’uomo è riuscito a trasformare la natura in cultura.
Da Tone c’è un po’ quell’atmosfera nordica lì, di quando ti dicono “volevi altro gioia” anche senza conoscerti. E niente, è appena entrato nella top 10 dei miei posti preferiti per un appuntamento bello alle 10:00.
A lunedì prossimo. E che il tuo oggi sappia di sabato ✨
⏭️ Nella prossima puntata: l’effetto farfalla e un po’ di quei momenti che lì per lì sembrano assurdi e incomprensibili, ma alla fine hanno un senso.
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xx, Marta
una delle mie 10 cose belle sei stata tu. ❤️
Penso che ancora oggi …. Con tanti anni. A casa dal lavoro e pochi impegni … mi ritrovo a fare più cose insieme : ad entrare di corsa a casa dopo la piscina e senza appoggiare la borsa e togliermi la giacca , accendo i fornelli oppure mi siedo per riposare e intanto controllo ingredienti e tempi di cottura del pane che sto impastando ecc ecc.
dopo avereti letta quindi …mi propongo di fare una cosa per volta. Di essere presente. Ce la farò ? 🤷♀️
Le parti sono invertite. Io mamma imparo da te figlia mia. 😘