Input vs Output 💌
E del perché cerchiamo la luce.
Non so più chi sono, cosa voglio, come volermi bene. Piangere e dormire è più facile che pensare a come ricostruire una vita. Eppure preferisco piangere e dormire, anche se non portano a niente.
L’ho trovato scritto in un foglio di carta svolazzante dentro a un quaderno di qualche tempo fa e questa riflessione continuava per altre due o tre pagine di fogli A4 a righe. Erano datati 29.12 senza anno, ma ricordo bene quale anno, l’anno prima dell’inizio di questa Newsletter.
☁ Ma tu ce li hai quei giorni un po’ grigi?
Quei giorni un po’ no, un po’ che vorresti che non venisse mai mattino per stare dentro al tuo piumone grosso e caldo, che ti protegge, non ti giudica e non ti chiede nulla. Neanche una spiegazione.
Cosa fai tu in quei giorni in cui ti vedi male? Perché un po’ lo so che li hai anche tu (se non è così, sono felice di sbagliarmi). Male, che qui intendo malissimo? In cui ti svegli e hai il mood sotto i piedi, non è che non ti piaci, ti fai proprio cagare (qui scusa il francesismo, ma così è più concreto e poi se che non ti scandalizzi).
Quelli in cui non ti piaci, non ti piace la tua vita e all’improvviso ti sorprendi a piangere? Senza neanche tanto bene sapere il motivo.
Ce li hai?
Tu sei luce.
Ti dicono, ti dici, un po’ ci credi, un po’ no, un po’ ci vuoi credere.
Oggi però è uno di quei giorni grigi in cui tu non la vedi la tua luce. Sai benissimo di averla, solo, non la vedi.
A te capita di avere anche un po’ di questi giorni senza luce qui?
Io te lo chiedo perché a me sì, ogni tanto sì, ma non sono sicura del perché mi accadano. Quando succede, mi racconto le classiche storie del tipo: è il cambio di stagione, è il cambio di vita, è il cambio d’ora, è la crisi dei trent’anni (ma questa crisi dei trent’anni dura dai 29 ai 41? O in teoria dura solo per il tuo trentesimo anno di vita? In questo caso comunque si deve essere dilungata. E io chiedo per un’amica …).
Io te lo chiedo perché spesso mi basta aprire il feed di Instagram, una rivista, o chiacchierare con qualche amico, per avere la percezione che capita solo a me, che succede a me e agli altri no, o se succede anche a loro, è già successo, ma adesso l’hanno superato quel momento grigio lì, adesso stanno bene, adesso sono contenti, felici e soddisfatti e sembra pure che quell’ultimo reel in cui si sono mostrati fragili ha registrato il migliore engagement rate di tutti i contenuti mai pubblicati. E allora forse aveva senso anche piangere davanti a una telecamera.
Io te lo chiedo, perché se ti succede siamo allora almeno in due.
Ma stiamo davvero tutti bene? O stiamo tutti bene, ma ci fa piacere far vedere che sappiamo stare male, piangere, rialzarci da soli? Non è che forse facciamo tutti un po’ finta di stare bene?
[No dai, non esageriamo. 🙌🏻
Che “Newsletter del Lunedì” è con tutto questo grigiume? ☁️
Non ti sentiamo da due settimane e adesso che esce, è presa male così? No dai, no].
Sono convinta che stiamo tutti bene, soprattutto da questa parte di mondo qui.
Però confesso, riconosco e ammetto anche io, che è sempre più facile giudicare un libro dalla copertina, il vino dall’etichetta e la vita e il benessere di una persona dalla sua ultima storia su Instagram, anche perché molto probabilmente è una storia in cui ride. Eppure, nel farlo, so che è sbagliato, che oltre a tutto quello che vediamo c’è molto di più. So che io per prima, dietro a tante di quelle foto in cui sorrido, dietro a tante di queste newsletter in cui fisso le parti belle della vita e cerco di trasmetterle un po’ anche a te, nascondo spesso (non sempre però) una serie di sfumature di grigio.
Ci sono, ci sono state e ci saranno sempre.
Queste sfumature.
Sì, anche dietro a questi post qui, in cui a volte mi scappa la mia parte da maestrina-saputella e signorina-so-tutto-io che dice a te come cercare i glimmer e innamorarti della vita, un lunedì alla volta, fino a che sei poi tu a dirmi che, “sì però Marta vedi che tu la tua strada l’hai trovata?”, “Vedi che adesso scrivi ed era quello che volevi fare, no?”, “Vedi che tu incontri sempre un sacco di persone come te, e crei connessioni belle e forti?”.
Io sì, lo vedo.
Ma non per questo mi sveglio sempre presa bene o sto sempre bene. Anzi.
Ultimamente mi sveglio stanca.
Stanca perché la notte non riesco a dormire bene, penso e ripenso a mille cose che poi al mattino non hanno neanche un po’ del senso che hanno mentre le penso, nel buio della notte. E allora perché le penso? E perché non mi fanno dormire?
Forse devo solo bere meno caffé, andare a dormire prima, non guardare lo schermo del telefono almeno un’ora prima, leggere prima di addormentarmi, cenare prima e cenare bene, meditare prima di dormire, … o anche solo provare a fare almeno una (una) di queste cose. Per provare Marta.
Ultimamente mi sveglio stanca e un po’ anche di cattivo umore.
Lo giustifico dicendo che sono una persona di default un po’ nostalgica, malinconica e riflessiva, ecco perché mi piace così tanto l’autunno: è una stagione che un po’ ti porta a fermarti e a riflettere senza senso di colpa sul perché sei fermo o sei preso male, no?
No, forse no.
Però fa un po’ tutto parte di come sei tu e sei tu anche con i tuoi momenti no, con le tue nuvole, le tue sfumature di grigio e i tuoi momenti più bui. Penso.
Di solito dopo un po’ mi riaddormento (meno male) e quando poi mi sveglio penso che sia bello riconoscere di avere quei momenti più grigi lì, viverseli finché non nuocciono alla salute e aspettare che passino, perché poi passano.
[FYI: questo è il paragrafetto da salvarti; ricopiatelo nel diario e leggitelo all’occorrenza].
A me personalmente aiuta a riprendermi da questa patina grigia qui l’uscire a correre, scrivere per decodificare i miei sentimenti e stare al sole.
Ecco queste tre cose sì, le riesco a fare spesso.
Mentre non dormo, affiorano nella mia testa tutti gli interrogativi della vita, quelli ai quali ho già cercato di rispondere colmando diari e diari cartacei, quelli ai quali ho già capito che non serve rispondere, perché non necessariamente tutto ha sempre bisogno di una risposta. Però adesso quella risposta la cerco ancora. E allora qui siamo tornati indietro? Quando di notte non dormo, la mia mente va in giro a chiedersi perché ci piacciono sempre le persone sbagliate, quelle a cui non piacciamo noi (qui al plurale perché parlo per me e per una serie di amiche, amici, coetanei, colleghi, amici di amici coetanei di colleghi e non, con i quali sempre più spesso si fanno discorsi sempre più simili). Mi chiedo perché ci resto male se la persona che mi piace adesso non mi scrive, non interagisce con la mia foto (ero pure venuta bene poi) e perché basta quella cosa piccola così (perché parliamone!) per farmi pensare che allora adesso non vale più niente, non valgo neanche più io e vorrei anche cancellare quella foto, ma adesso non posso più (ma che poi, scusa, ma se la foto era per quella persona lì, non potevi mandargliela? La vita). Ma perché poi dovrei rimanerci male? Ma sai che forse è meglio così? Che potere che hanno quei like sul nostro umore, che potere che diamo noi a loro e lasciamo che abbiano nel nostro mood, nel nostro carattere e nelle nostre relazioni con gli altri.
🥱 È cambiata l’ora
Da questa parte di mondo almeno. Domenica (che poi è solo ieri se tu mi leggi oggi che è lunedì) abbiamo dormito un’ora in più.
Dormito? Tu hai dormito un’ora in più?
Forse meglio non generalizzare. Riformuliamo così: abbiamo avuto un’ora in più.
Un’ora in più di sole? No, forse adesso viene solo buio prima, io non ho ancora ben capito.
Perché cerchiamo la luce?
Un’ora in più per restare in dormiveglia e assopiti tra le lenzuola, confusi da quel cambio d’ora, un’ora in più per leggere finalmente dopo tanto, o per portarci avanti con quella presentazione da consegnare lunedì (qui benedetta ora in più), per sentire chi non sentivamo da tempo con una video chiamata lunga ed energizzante, per uscire a fare il lungo di corsa del weekend, per annoiarci (sì, anche per questo, sì). Per riordinare l’armadio, la valigia, la camera da letto, pensare a come rifare la grafica di questa Newsletter, preparare la granola per colazione, per scrivere questa newsletter e magari anche un’altra.
Marta ma tu di tutte queste cose, quante poi ne hai fatte in quell’ora in più?
Un’ora in meno di luce alla sera, che cerchiamo al mattino.
Ogni anno ad ottobre questo cambio d’ora ci scombussola i pensieri, la mente e le abitudini. Soprattutto se sei nei 30+ e inizi ad ancorarti a quelle abitudini come se fossero le tue uniche certezze, forse lo sono davvero in alcuni casi.
Ottobre che ci fa impazzire, perché è già autunno, ma gli alberi non sono ancora rossi, perché il cielo è blu, terso e senza una nuvola, ma se esci senza maglia ti geli, perché vorresti accendere il camino, ma tu il camino nella casa a Barcellona non ce l’hai e allora scappi nei weekend a casa dai tuoi, per goderti quelle sensazioni di autunno lì. Perché è ottobre e vai a correre ancora con i pantaloni corti, fai ancora il bagno, non hai ancora messo le calze e prendi ancora il sole.
“Si può ancora prendere il sole ad ottobre?”. Nel dubbio lo prendi, lasci che ti arrossisca la pelle e fai finta di non preoccuparti per non aver messo la protezione solare, raccontandoti che tanto di qualcosa si dovrà pur morire in questa vita e allora forse è meglio se è dovuto al troppo sole, piuttosto che ad altro, o no?
Scherzo.
Ottobre che si colora di gialli, arancioni e sfumature chocolat (no, dire marrone non ha lo stesso effetto sexy, cool e cosy, mi spiace), che ti sorprende a fantasticare con il ricominciare tutto da un’altra parte del mondo, magari Londra (che hai sempre e solo visto in autunno).
Ottobre che ha deciso di ricordarci di prenderci cura della nostra salute mentale, ufficializzando la ricorrenza il 10 del mese — e io che ho in dietro due settimane di newsletter e altrettante di disordine mentale, non ne ho ancora parlato e adesso quello che esce è uno sgorbio remix di pensieri senza capo ne coda, che si stavano rincorrendo da tre lunedì di arretrati. Ti chiedo scusa in anticipo per il poco senso logico di questa Newsletter oggi, sarà stata questa ora in più.
Un attimo: ma tu come hai passato quel venerdì 10 ottobre? No, perché non mi stupisco (ma proprio purtroppo no) se mi dici che l’hai trascorso al PC, o arrabbiato, o in call, o arrabbiato-in-call-al-PC, o nervosissimo nella sala di aspetto di uno studio medico ormai convinto che la cosa più giusta da fare nei confronti di quel capo poco rispettoso è chiedere qualche giorno off causa stress.
Eppure sì: abbiamo ancora bisogno della giornata nazionale della salute mentale per ricordarci di prendercene cura. Forse servirebbero solo tante più Newsletter del Lunedì? Qui come metafora di momenti escamotage per ricordarci di fare pause belle.
A fine ottobre, quando cambia l’ora, cerchiamo la luce, la rincorriamo, ci arrabbiamo se le giornate finiscono con il buio presto, perché non si può più andare a correre alla sera, non ci viene proprio più voglia. Alla sera quando fa buio adesso ci viene voglia di rientrare, di tornare nelle nostre case e forse ancora di più adesso vorremmo tornare in case dove chi ci aspetta ha già acceso le luci in salotto, ha già aperto una bottiglia di vino, ha già attizzato il camino, sta preparando la cena, ci aspetta per un abbraccio.
Vorremmo tornare in case in cui c’è qualcuno che ci aspetta con tutto quel calore lì.
Perché cerchiamo la luce?
Perché ci fa paura il buio?
E rientrare a casa la sera con il buio perché ci fa paura? Andare a correre di sera con il buio fa paura?
Mentre non dormo e mi lascio trasportare da queste preoccupazioni, faccio la cosa più sbagliata (che so essere sbagliata, ma poi la faccio lo stesso). Accendo il telefono e capito su un post che mi parla proprio un po’ di questo, mi dice che: tutti abbiamo anche un po’ di buio dentro, e forse è per questo che viviamo con una costante e mai paga fame di luce.
Non ci avevo mai pensato. La quote originale finisce con un punto interrogativo, lo chiede lui a noi.
A fine ottobre ci svegliamo prima, per cercare più luce, per prendere tutta l’energia di quel sole più basso che adesso dura poco. Il caffé del mattino lo prendiamo fuori, piuttosto con una giacca addosso a proteggerci dal vento, ma con i raggi sul viso, ci trasferiamo in parti di mondo più calde per cercare il sole — io sono scappata a Barcellona anche un po’ per questo, perché a Milano da quell’angolo di piano terra che dava nel cortile interno del condominio, non ne avevo abbastanza, di sole. Eppure quanto mi è piaciuto vivere in quella piccola grotta lì, la mia tana, il posto in cui non vedevo l’ora di tornare dopo una giornata estenuante in ufficio, dopo un weekend di incontri famigliari a giustificare le scelte dei miei ultimi mesi e dei prossimi, dopo un viaggio: quell’angolo con poco sole lì ha rappresentato per mesi quell’abbraccio caldo e tutto quel calore che cerchiamo nelle sere di autunno (e spoiler: aveva anche il camino 🪵).
Come quella di questa sera.
Sono qui che mi chiedo cosa abbiano ottobre e l’autunno con me, ci rifletto anche di notte, quando non riesco a dormire. Mi chiedo se sia vero che l’autunno sia la mia stagione preferita, perché se fino a poco fa ne ero convinta, mi è bastato leggere l’ultimo post di Cecilia per dar ragione a quel suo:
mi piace pensare di non avere una stagione preferita e di saper cogliere aspetti positivi in ogni parte dell’anno.
È vero, forse non abbiamo mai una sola stagione preferita, ma il bello è proprio allenarci a cogliere il bello da ognuna di esse.
Che non è poi anche quello che faccio io con questa Newsletter? Quando esce.
L’autunno però porta con se un po’ tutto quel fascino, quel calore e quella voglia di abbracci morbidi lì, che come fa a non piacerti?
Se solo di notte si dormisse un po’ di più.
Io, e tutti voi che un po’ come me e un po’ come Fabrizio, non dormite e vedete meglio tutto.
⭐️ Siamo persone insonni alla ricerca di luce
A volte si sente chi dice che siamo quello che mangiamo, che siamo quello che pensiamo, che siamo le persone che frequentiamo.
Se fosse vero, io probabilmente sarei una fetta di pane e marmellata 🍑, o un piatto di spaghetti al pomodoro 🍝 e ultimamente forse anche una tavoletta di cioccolata 🍫.
Però un po’ ci credo, sai? Ultimamente un po’ ci credo. E credo che siamo anche i pensieri che coltiviamo — ecco questo è bello, se ne coltivi di belli.
Onesta, non ricordo dove l’ho letto, probabilmente più che leggerlo, l’ho ascoltato da qualche Podcast più serio di questa Newsletter, ma qualcuno diceva che spesso, contrariamente a quanto pensiamo, è l’input ad essere più importante dell’output.
Ecco: penso che in fondo anche noi funzioniamo un po’ così.
Siamo sistemi complessi, certo, ma pur sempre sistemi: quello che entra, in qualche modo, definisce quello che esce. Ecco quel “siamo quello che mangiamo, che pensiamo, o le persone che frequentiamo”.
Se pensi male, parli male.
Se ti nutri di disordine, restituisci disordine.
Se ti circondi di persone che credono che non valga la pena provare, finisci per convincerti che abbiano ragione loro.
In informatica c’è un principio semplice, quasi brutale che ti copio così come ho trovato (non chiedermi di approfondire 😅): garbage in, garbage out.
In breve: dati scadenti generano risultati scadenti, anche nel miglior programma del mondo. Forse funzionano così anche un po’ ChatGPT, Gemini, Claude AI e compagnia bella. Più gli metti dentro prompt precisi, più il risultato che esce sarà preciso (o comunque all’altezza delle tue aspettative). Tutto questo da prendere con le pinze, mi raccomando, non sono un tecnico please.
Però ecco, credo che noi non siamo poi così diversi da quel meccanismo lì.
Allenare il cervello a vedere i glimmer e senza volere essere troppo metaforici, a vedere il bello, lo porta a identificare sempre più bellezza attorno a sé.
Quindi possiamo dire che gli input della nostra vita sono tutto ciò che scegliamo (o permettiamo) di assorbire: il cibo, i pensieri, le conversazioni, le relazioni, i contenuti, i luoghi.
Gli output sono ciò che restituiamo al mondo: energia, parole, decisioni, silenzi, reazioni (newsletter :)).
E allora perché noi di notte ci alimentiamo di ansie e paure assurde?
Ecco allora che mi torna quella riflessione ascoltata in qualche podcast: forse non serve cercare di cambiare subito l’output (qui il nostro umore).
Serve più che altro guardare meglio l’input. Perché spesso il problema non è quello che produciamo, ma quello che lasciamo di entrare.
Tu puoi scappare qui 📌 se vuoi provare a vedere se sai coltivare pensieri belli, o se vuoi imparare a farlo in caso non lo faccia già, con una inconsueta beauty routine. Sì esatto, questa è una di quelle volte in cui dico a te di fare una cosa che serve a me.
Siamo tutti alla ricerca di bagliori di luce per comprendere le zone oscure della nostra coscienza.
Continua così quel post letto nel buio della notte insonne.
A me ottobre ultimamente davvero non fa dormire e, tolto il momento pubblicità organica a Fabrizio che sa scrivere questa sensazione meglio di me, questo argomento è uscito un po’ a caso e come battuta parlandone con qualche amico a cena: qui ho capito che non sono l’unica a rimanere sveglia a fissare il soffitto qualche ora per notte, al buio. Forse potremmo creare il “Club delle 4AM” che però non conta nessun CEO figo che esce a correre, rientra si fa un matcha tea, mentre legge le news sull’Ipad, si doccia al volo e poi freschissimo porta i suoi 2 (3?) bambini a scuola.
Sarebbe più che altro un gruppo di persone più semplici di così, persone che non riescono a dormire, sommersi dalle ansie della vita da trentenni (chi più, chi meno), che avrebbero voglia di ritrovarsi e invece si sentono sempre più persi, e allora quelle ansie fanno così tanto rumore in testa che alla fine li svegliano (ci svegliano), e diventa impossibile continuare a dormire.
Ma perché?
Perché di notte, al buio, sommersi dal silenzio della casa, escono tutte le ansie?
Perché non succede di giorno, al sole e con la luce? Per esempio in una mattina di cielo terso così?
Perché i mostri e le paure vivono nell’oscurità?
Io me lo chiedo (lo chiedo a me stessa, parlando tra me e me, di notte con me). Tu parli da solo? Poi scopro che anche a te fa paura il buio e continuando la lettura di questo post in cui sono capitata per caso (ci sono davvero capitata per caso?) scopro che:
Notte e buio sono due parole che spesso vengono affiancate. Il buio rappresenta il nucleo di una delle paure primordiali che interessa gran parte degli esseri umani. La mancanza di luce, le tenebre, evocano scenari interiori perturbati e perturbanti.
Ecco, forse anche il mio algoritmo di Instagram non riesce a dormire e pensa alle stesse cose. Ha le stesse ansie e paure di quei pensieri pesanti che si nascono e si mostrano solo al buio. Forse le cose che ti devono trovare ti trovano, ed è questo il caso di questo post qui.
Nel buio della notte ci si cerca di orientare per quel poco possibile, anche se privi di punti di riferimento (qui soprattutto se si ha cambiato casa da poco). A me capita di ritrovarmi a cercare quei puntini luminosi che a casa a Barcellona non ho e che invece esistono ancora sul soffitto della camera a casa a Biella e che spezzano un po’ quel senso di vuoto cosmico che il buio accende mentre crollo nel sonno.
Un po’ li cerco, e sì, confesso, un po’ mi vergogno anche a dirti che li cerco ancora, ma sovente mi capita di rimpiangerli se non li ho. Un po’ mi vergogno anche ogni volta che qualcuno viene a dormire da me e li nota appena spegniamo la luce, perché effettivamente se è vero che io non ci faccio più caso, loro sono ancora lì a farmi sentire a casa e trasmettermi quel senso di casa che mi fa addormentare meglio. E tu che non sei mai stato prima da me, lo noti e me lo fai notare.
Se quando non dormi ed è ancora estate, prendi il tuo cane (che invece non ha alcun problema di sonno) e vai a spasso per una città ancora calma e dormiente (beata lei). E beato anche te che hai il cane, io ancora non ho realizzato di non averlo più e questa è un’altra di quelle cose che mi tiene sveglia la notte: un attimo prima c’è e un attimo dopo non c’è più. E allora ti trovi a pensare a quanto questo stesso principio possa essere applicato alla vita, in generale: per quanto tempo tutto quello che nella tua vita c’è adesso, ci sarà ancora? Quanto di tutto quello che hai adesso, stai dando per scontato e rimpiangerai quando non ce l’avrai più?
Te lo chiedi. Sempre di notte te lo chiedi. Ma poi a chi lo chiedi? A te che non hai quella risposta. Non la sai. Come non sai perché pensare che tua sorella domani prenderà un volto per la Russia di notte ti fa paura, non sai perché di notte pensi che magari non avrai mai una famiglia tua, dei figli, magari non ti innamorerai mai più. E allora non riesci a dormire.
Solo che adesso è autunno e non puoi più prendere e uscire a fare una passeggiata con il tuo cane (che tu ce l’abbia o no) come fa Alberto in estate, e allora semplicemente resti lì a fissare il soffitto. E come te e Alberto, a qualche chilometro di distanza a fissare il soffitto è anche Giacomo che ha appena comprato casa e se la sta sistemando, ma per una serie di cose andate in un modo diverso da come avrebbe mai immaginato, adesso è tornato a vivere nella casa dei suoi, non lavora da qualche mese e si sente il peso delle responsabilità addosso; oltre a te, Alberto e Giacomo, a qualche centinaia di chilometri più in là, anche Giorgia è sveglia e guarda il suo soffitto, perché dietro ai suoi mille sorrisi e battute divertenti, nasconde un po‘ di quel suo momento dramma di vita lì, più tosto del solito, più tosto di quello che sembra, e forse anche da prendere meno alla leggera di come fa finta di fare lei, che per la seconda settimana di seguito si ritrova nello studio medico di un medico che non conosce, al quale chiede aiuto per risolvere una situazione assurda e tossica in ufficio. Ancora. Di nuovo questi lavori che minano le nostre capacità mentali e insieme al sonno ci tolgono il senno. A noi quattro si aggiunge anche Carola che ultimamente non dorme, ma non sa perché. A me ha disturbato particolarmente il vento delle ultime sere, che di notte sembra sradicare la casa, ma a quanto pare per lei no.
Questa notte non dorme neanche Deborah, che è bellissima, biondissima, altissima e simpaticissima, che è anche intelligentissima eppure, non si trova neanche lei nel suo miglior momento di vita, non si sente realizzata e non vede più nessuno di quegli aggettivi che terminano con -issima. Da luglio a oggi sta mandando CV e cercando disperatamente un nuovo posto di lavoro che la gratifichi, nonostante la posizione adesso più bassa, l’essere passata consapevolmente dall’essere Senior al tornare in stage pur di fare qualcosa che le piaccia di più, invano. E così non dorme neanche lei, pensando di avere buttato ventotto anni di vita, non dorme causa senso di colpa nei confronti di chi le ha permesso quegli studi e non dorme per la paura di non potersi più permettere ancora per molto il suo vivere in Brera, le lezioni di Pilates e le colazioni buone fuori casa. Tutte quelle cose che poi in un certo senso sono anche un po’ di quelle cose belle della vita, sono un po’ di quelle che qualche lunedì fa abbiamo catalogato come Attività Vitamina qui«. Tutte quelle cose che ho sempre fatto anche io, anche nel mio momento grigio, tra la Marta piccola e la Marta grande — insomma il pre e post Bali.
In quanti e quanto viviamo sopra le righe?
Marta ma tu quando inizierai a pensare al tuo futuro? A cosa fare di questa casa, a dove vorresti vivere davvero? La tua mente ti tira fuori domande a raffica come una mitraglietta. E sempre la tua mente ti crea auto-trappole per risponderti da sola, e scacciare quei pensierini: “Ci penserò poi a 35 anni”, ma mentre lo pensi e fai per scacciare il pensiero ti spaventi e realizzi di averne già 35. Ti spaventi di non ricordartelo e ancora di più ti spaventi realizzando di non sentirteli, il che ti giustifica a vivere la vita con più distrazioni e meno responsabilità.
Quando metterai la testa a posto? Quando ti concentrerai sul conoscere qualcuno adatto a te? Perché ci piace chi non ci dovrebbe piacere? Coloro a cui non piacciamo? Perché ci convinciamo di falsi miti, credenze e vite perfettamente imperfette (quindi alla fine perfette) come quelle che vediamo su Instagram?
Qui è ripartita la mitraglietta.
Perché non ci è concesso tornare un attimo indietro nel tempo e rivivere alcuni dei nostri momenti belli? Ma non dico tutti, tutti, solo alcuni, non sempre gli stessi, uno ogni tanto, tipo il rivivere un attimo oggi quell’istante di tempo fa in cui quello scambio di occhiate ci ha fatto saltare un battito, l’essere in cima a un faro davanti al mare ci ha fatto sentire più vivi, quella conversazione più profonda del previsto davanti a un caffé una spremuta ci ha fatto sentire elettrici. O il ricevere di nuovo e ancora un messaggio come vuoi tu.
Di notte rivivi anche un po’ di tutti quei momenti lì.
Di notte si fa spazio anche quella parte di noi più buia, quella che esiste e con cui conviviamo anche senza rendercene sempre conto, quello spazio interiore in cui diventiamo autori, registi e sceneggiatori esperti di scene di vita mai esistite ma che vorremmo esistessero, o già vissute, che vorremmo tornassero, momenti di vita in cui ciò che facciamo e ciò che siamo è mosso da una regia segreta e per lo più inconsapevole.
Ma poi che fine faremo tutti? Tutti noi che non dormiamo per le nostre ansie in comodi letti caldi, comodi e soffici così, mentre nel resto del mondo non si dorme per le bombe che risuonano nei cieli e poi all’improvviso ti sventrano la casa. E allora noi qui abbiamo tutto e possiamo dormire.
Allora perché non dormiamo?
Mi fa paura il mondo, la piega che sta prendendo, mi fa paura il mio non capire niente della contemporaneità di un mondo incattivito, che sembra non avere imparato niente in 2025 anni, mi fa paura non capire chi abbia torto e chi ragione, o perché ci si voglia fare male così.
Mi è passato del tutto il sonno. Qui è quando mi racconto storie io, mi scrivo storie io, che sono molto simili alle storie per bambini, perché ti spiegano il mondo con semplicità e ti aiutano a dare un senso anche se fittizio alle cose che non ce l’hanno (e forse non ce l’avranno mai). Mal che vada, un giorno le potrò rilegare, pubblicare e regalare ai miei migliori amici under 4, in qualche occasione speciale. Non sarebbe poi neanche la prima volta.
Le potrei regalare anche alla mini Marta under 4 alla quale un giorno ho fatto una promessa.
Me le scrivo di notte e sempre di notte me le rileggo, scrivere mi tiene compagnia. E allora anche non dormire ha un suo senso. Scrivo finché non mi si chiudono gli occhi.
Di solito si chiudono quando è quasi mattina, si fanno pesantissimi e dopo poco mi sorprende una fastidiosissima sveglia a ricordarmi che se avessi dormito tutta la notte sarebbero state davvero otto ore e sarei fresca, con una ruga in meno e la pelle del volto più sana e rosea. E invece con quel buco di almeno due ore arrivo a malapena a sei ore di sonno, di ruga ne ho una in più e il colore del viso è un po’ spento. Sono già stanca ancora prima di iniziare la giornata.
Dicono che imparare a sostare nella notte e a camminare nel buio, anche quando non c’è nessuno accanto a noi, è indice di crescita, del diventare grandi, del riuscire ad accedere all’autonomia, all’indipendenza al diventare adulti. Ma perché si deve diventare autonomi, indipendenti, adulti?
No, io non lo so, e non so neanche se poi tanto mi piace.
Non so neanche se è la malinconia di ottobre, ma a me in questo periodo capita anche di avere un po’ di nostalgia di tutti quei pomeriggi lunghi a casa, senza pensieri, senza responsabilità, di quei tempi in cui andava tutto bene (o forse no ma non te ne rendevi conto), di quando non c’erano problemi (o forse tantissimi, ma non te ne rendevi conto). Di quando avevi ancora tutti i nonni e alla domenica era d’obbligo il pranzo tutti assieme. Di quando vivevi spensierato senza rendertene conto.
In una di queste notti in cui non dormi qui, invidi quel piccolo e ripetitivo rituale della buona notte di quella bimba duenne che si addormenta già da sola: sei a cena dai tuoi migliori amici e questa sera la accompagni anche tu a dormire. Eppure sa già tutto lei, ha due anni (uno e mezzo) e sembra una donnina, che con ordine spegne prima la luce delle scale, poi accende quella colorata del suo comodino in camera, prende il suo mega orso grande Balù e poi gli si siede tra le gambe, pronta per farsi leggere una storia. Recupera il ciuccio, indossa il suo piumone-pigiama-abbraccio-caldo-e-grande e ti chiama a sederti lì con lei, la sua mamma e quell’orsone di peluche, grande tre volte lei, per poi ascoltarti leggerle la storia, aiutandoti a girare le pagine. Finito il racconto ti saluta, ubbidiente, ti da un bacio e lascia che la mamma la metta nel suo lettino.
Ogni sera, per tutte le sere, finché non diventa grande.
Chissà se capiterà anche a lei di trovarsi tra trent’anni distesa su un letto a fissare il soffitto e a ricordarsi di tutta quella serenità e spensieratezza magica lì. Chissà se quel ricordo la farà dormire.
Chissà se anche lei, nel fissare quel soffitto si renderà conto, con un po’ di paura, che forse poi alla fine non c’è solo il buio che sta fuori di noi, ma anche quell’oscurità che ci abita dentro. Perché è poi un po’ così, lo capiamo da più grandi, ma alla fine lo capiamo.
Forse sì, perché è così che avrà capito di essere diventata grande anche lei.
Ritorna quel post su Instagram:
siamo tutti alla ricerca di bagliori di luce per comprendere le zone oscure della nostra coscienza.
Proprio oggi che ci hanno regalato un’ora in più, ma un’ora di sole in meno. Mi ci soffermo, perché un po’ credo che nulla capiti mai per caso e forse oggi lo devo leggere perché probabilmente è uno di quei contenuti che ti parlano. E infatti mi parla.
Mi dice una cosa bella, mi dice che:
Ciò che noi siamo, il modo in cui ci muoviamo nel mondo deriva da quattro diverse aree della nostra persona che si integrano fra loro come tessere di un puzzle.
• Un tassello è rappresentato da un’area segreta che contiene ciò che solo noi sappiamo di noi stessi e che non mostriamo mai agli altri.
• Un altro tassello è invece rappresentato da uno spazio aperto che contiene ciò che noi sappiamo di noi e condividiamo col mondo esterno.
• Poi c’è una sorta di zona cieca a noi, ma non agli altri, che contiene ciò che gli altri sanno di noi, di cui però, noi siamo ignari.
• Infine c’è quella che potremmo definire zona oscura, connotata da aspetti che ci appartengono, ma sconosciuti sia a noi che che agli altri.
Zona cieca e zona oscura rappresentano la nostra notte interiore.
E insomma andando avanti mi accorgo che forse le risposte al mio restare sveglia di notte, e al cercare la luce anche oggi (soprattutto oggi) che un po’ ci scappa, sono tutte raccolte qui.
Nel corso della vita ci addentriamo continuamente nella notte che ci abita dentro alla ricerca di luce. La cerchiamo nei libri, nelle relazioni con gli altri. A volte è la vita stessa che ci obbliga ad aprire la porta del subconscio, perché con uno stimolo improvviso (un profumo, un’immagine, una canzone) sblocca una zona di buio: è così che viviamo un insight, fenomeno psichico che ci rende capaci di comprendere e dare significato a qualcosa che era lì, dentro al nostro mondo interiore, ma non aveva mai trovato uno spiraglio di luce in grado di renderlo visibile.
Mi lascio attirare da uno dei commenti sotto a quel post che parla di buio, notti e bagliori di luce, e quel “difficile equilibrio accettarsi”.
È mattina, me lo annuncia il suono di quella sveglia che non ti è mai sembrata più nemica, il vento ha smesso di soffiare, il volo è partito ed è arrivato senza problemi, lo schermo del tuo telefono mostra quella notifica che aspettavi, c’è il sole e il cielo è già terso. La tua camera è ancora un po’ caotica, ma sei già meglio disposta per riordinarla oggi.
È tutto finito, è tutto passato, ti fanno anche un po’ ridere tutte le preoccupazioni che ti hanno tenuta sveglia fino a poche ore fa. Belle occhiaie..
E comunque sì, notte insonne più, notte insonne meno, l’autunno resta comunque ancora una delle mie stagioni preferite. Forse il suo senso è anche imparare a non combattere la parte che si spegne, ma a farci pace. A capire che anche da lì, da quel buio un po’ scomodo, arriva una forma diversa di luce.
Che dici? Lo possiamo leggere così?
📌 Post Scriptum
Di dolci angoli di mondo in cui fermarsi a fare colazione e leggere questa newsletter. Di tutti i miei posti preferiti in cui fare colazione per il mondo.
Ma vale tornare nei posti in cui sei già stato? Questa volta sì, perché in una mattinata random a Milano, quando causa notte insonne e mood semi grigio non volevo parlare con nessuno, ho conosciuto Deborah (la ragazza dai cinque superlativi che finiscono con -issima) e questa è un’altra delle cose che un po’ dovevano succedere.


Ci siamo trovate da Atelier Prato 📌, ormai casa quando sono a Milano senza più casa. E qui causa l’avere (tra le altre cose) lo stesso PC, ci siamo trovate.
Ma questa cosa bella, ve la racconto nella prossima puntata. Adesso vado a fare colazione. ☕️







